La quarta edizione del Festival internazionale della nuova danza riaccende i riflettori della Cittadella dei Giovani, una struttura multifunzionale che martedì 5 novembre aprirà stabilmente i battenti con un progetto triennale.
A pochi giorni dalla ripresa ufficiale delle attività (grazie all’assegnazione, tramite bando, della struttura al raggruppamento temporaneo d’impresa formato dalle realtà Trait d’Union, Fondazione Maria Ida Viglino e Teatro Instabile), ecco che la Cittadella dei Giovani ospita il Festival internazionale diretto da Marco Chenevier e da Francesca Fini.
Una realtà ormai consolidata sul territorio, la kermesse ottobrina, grazie anche alle tante attività formative offerte, quali masterclass, laboratori e iniziative scuola/lavoro, rivolte a specifici target di utenza e alle scuole superiori. Una scelta, questa, perseguita dai suoi organizzatori, che ha reso la manifestazione aostana dedicata alla nuova danza non solamente partecipata, ma evento teatrale – e non solo – che vede un ampio afflusso di pubblico giovane.
Venendo agli spettacoli di giovedì 24, dopo l’incontro delle 18.00 con gli artisti che si sono esibiti la sera precedente (un appuntamento che si rinnova ogni giorno e che permette un confronto diretto tra gli spettatori e i performer), il primo a salire sul palco è Simhamed Benhalima con Soi. Purtroppo il danzatore e coreografo ha dovuto riadattare lo spettacolo – originariamente un passo a due con Kevin Mischel – per ragioni di forza maggiore. Il singolo, proprio a causa di quanto scritto, può essere recensito solamente il maniera parziale. Il dialogo danzatore/musicista dal vivo (molto brava e ottima presenza scenica, Julien Michelet) funziona e, anzi, la figura femminile si inserisce anche a livello narrativo in questa coppia non prevista, quasi che la ricerca nel sé (del titolo) debba partire dall’altro da sé, ossia dal confronto con la figura muliebre e con l’esterno per poi diventare, sempre di più, uno scavo all’interno – sia a livello spaziale (i rimandi scenografico alla dimensione casalinga) sia mentale e/o psicologico. Funzionali anche le luci che, soprattutto quando disegnano una trama di sbarre sul pavimento, rimandano simbolicamente alle costrizioni che possono portare alla follia – e qui sorge spontaneo pensare, vista anche la scelta musicale, ai centri di detenzione (e ben poco di accoglienza) per migranti, alla sensazione per chi è clandestino di essere in carcere sebbene a piede libero perché mai sicuro di sé e della propria posizione nel Paese ospitante (ma non ospitale). E proprio sul tema della reclusione/esclusione viene alla mente il film francese di Nekache e Toledano, Samba. Qualche sfilacciamento nella parte centrale, forse dovuto al riadattamento, non inficia il risultato complessivo.
A seguire M2, un’esperienza teatrale firmata dal gruppo romano Dynamis, che indaga il rapporto tra corpo e spazio, e in particolare le tecniche di convivenza in uno spazio ristretto. Partendo da quello che potrebbe sembrare un gioco, ossia posizionare sette spettatori volontari su un metro quadrato di terreno ed erba, pian piano il performer Francesco Turbanti invita (e costringe) i volontari a mettersi in relazione gli uni con gli altri, a collaborare in minime attività, a costruire dinamiche positive per raggiungere obiettivi in comune. I volontari, lentamente, sviluppano un senso di solidarietà e appartenenza (tale da far loro rifiutare la possibilità di tornare tra il pubblico scambiando il posto con uno spettatore) e sempre più, nel corso della performance, si nota come si immergano nel flusso di azioni che sono chiamati ad agire, estraendosi dallo spazio teatrale che occupano (e, quindi, non accorgendosi quasi più di essere su un palcoscenico di fronte a un pubblico che li osserva e, forse, giudica). Dal punto di vista della platea alcune situazioni sono decisamente esilaranti ma si insinua anche il dubbio, a mano a mano che la performance prosegue, che quanto si osserva non sia solamente un gioco ma un meccanismo teatrale posto in essere per metterci di fronte a importanti interrogativi, quali quelli enunciati alla fine dello spettacolo, ossia: di quanto spazio abbiamo bisogno? Chi è lo straniero? Si possono costruire con l’altro da sé dinamiche vincenti? E quali atteggiamenti sono i più efficienti ed efficaci? Un gioco teatrale, quindi, che, nella sua apparente leggerezza e semplicità, ha solide basi antropologiche e chiari riferimenti all’universo sociale che ci circonda – andando aldilà dell’analisi sui processi demografici e ponendo questioni relazionali notevoli.
A chiusura di serata la performance firmata e agita da Paola Zaramella, Elettra, è un insieme multidisciplinare che dimostra alcuni punti di forza ma anche qualche acerbità. Se il rimando al mito greco appare un po’ fumoso; al contrario, alcuni gesti, come lo spingere la scatola contenente oggetti fragili aldilà della panca, e le immagini dello scioglimento di un ghiacciaio mostrano un’affinità di contenuti che ci porta ad apprezzarne la mise-en-scène e il rimando all’intrinseca bellezza e alla sua facile distruzione. Anche le parti recitate al microfono così come i movimenti (à la Roberto Latini) seguono un loro ritmo e ben si adattano all’accompagnamento musicale, mentre la voice over e l’uso, ad esempio, di putti di gesso o della pellicola trasparente lasciano perplessi perché non solamente non se ne afferra il senso ma soprattutto perchè l’abbondare di simboli, a volte, può diminuire l’impatto del contenuto invece che aumentarlo.
Nel complesso una giornata interessante, con un teatro praticamente sold out di giovani curiosi ed entusiasti di prendere parte a una manifestazione che, grazie anche alle modalità partecipative messe in atto, sentono loro.
Simona M. Frigerio
Cittadella dei Giovani, Aosta, giovedì 24 ottobre.