Una giornata solare e un cielo terso ci accolgono dopo due settimane di pioggia. Aosta sembra essersi risvegliata al termine di un letargo uggioso e bigio, con l’aria frizzante dell’inverno alle porte ma un’ultima spera di calore a rallegrare il weekend imminente.
Anche la Cittadella dei Giovani sembra essersi rivestita di nuovi colori e l’allegria per il T-Danse si mescola a quella per il bel tempo ritrovato e alla voglia di stare insieme, condividendo non solamente lo spazio ma soprattutto l’esperienza teatrale e di vita.
Alle 20.00, sala gremita per Xuan Le, versatile artista francese che si interroga sul senso del limite in Reflet. Un semplice raggio laser rosso che taglia il palco in orizzontale, o la proiezione di un rettangolo luminoso sul pavimento, o ancora una serie di lanterne poste ad altezze diverse sono altrettanti confini invalicabili o occasioni di incontro? I corpi dei performer devono fare i conti con geometrie cangianti che allargano o restringono gli orizzonti, amplificano o prosciugano le opportunità e gli spazi praticabili. Ma soprattutto devono confrontarsi tra loro, riflettersi, scegliere la complementarietà o sfuggire l’alterità. Interessanti a livello concettuale, i quadri della performance non sempre convincono a livello coreografico ma la sostituzione del partner di Xuan Le può spiegare in parte le difficoltà in alcuni passaggi e una certa mancanza di fluidità. Bel finale, anche da un punto di vista scenografico, molto gradito dal pubblico che ha applaudito calorosamente.
A seguire, Stickman, dell’irlandese Darragh McLoughlin. Vicina al nouveau cirque, la performance si giova oltre che delle capacità tecniche e dello humour del suo ideatore e protagonista, di una stratificazione concettuale che la rende, oltre che godibile, un momento di riflessione particolarmente interessante. Se, infatti, a un primo livello emerge l’onnipresenza del mezzo televisivo nella nostra vita quotidiana e la sua pervasività; a un secondo livello, più profondo, ci si rende conto di come questo subdolo mezzo non solamente ci imponga cosa vedere ma, soprattutto, come interpretare ciò che vediamo. È sconcertante rendersi conto di alcune reazioni degli spettatori sollecitati a partecipare. Se sparare a Darragh non crea alcun problema, forse perché azione intesa come gioco e parte dello spettacolo (il to play inglese risulta verbo ambivalente e, perciò, calzante), lo spegnere la televisione (nonostante sia anch’esso momento drammaturgico previsto e dichiarato come tale) risulta più difficile. Il pubblico reagisce come se avesse perso un amico. Siamo di fronte a un nuovo Hal 9000 – di kubrickiana memoria. Abbiamo umanizzato la tivu fino a trasformare un oggetto nel nostro migliore amico – con il quale trascorriamo intere ore. E sul palco, in pochi minuti, lo schermo nero è diventato più vivo e reale del performer, che può essere sacrificato per il pubblico ludibrio. Meditare gente, meditare.
A conclusione di serata, la performance multisensoriale Self che nel dialogo tra il video-mapping di Oscar Accorsi e il suono di Mauro Cadappa trova il suo punto di maggiore forza e coerenza espressiva. Sebbene i movimenti della performer in scena, Nicoletta Cabassi, generino indirettamente e interagiscano con i suoni, in sé risultano la parte meno significativa. Il côté coreografico è in certo senso schiacciato tra le due dimensioni, delle immagini in video e del tappeto sonoro, quasi che l’essere umano non possa competere con un uso soverchiante della tecnologia. E anche su questo, nonostante l’energia e la forza sprigionata dalla performance nel suo insieme, si dovrebbe forse meditare.
Simona M. Frigerio
T-Danse Festival, Cittadella dei Giovani di Aosta, venerdì 25 ottobre