“La Gioia”, produzione Ert / Teatro Nazionale, coproduzione Theatre de Liege, Le Manege Maubeuge- Scene International, per la regia del regista teatrale Pippo Delbono in scena al Teatro Comunale di Bolzano nelle date del 12 e del 13 gennaio.
Parliamo di un regista teatrale di spessore, che ha lasciato un segno nel mondo del teatro, per la forza evocativa dei suoi spettacoli dalle composizioni “ felliniane”, con la messa a fuoco di personaggi presi dalla strada, dai serbatoi dell’emarginazione sociale e del disagio, (ospedali psichiatrici, senza tetto) assunti in seno alla Compagnia e spesso negli spettacoli nel ruolo di se stessi.
Se Fellini ci suggestiona con personaggi unici e atipici emergenti dall’onirico e vaganti in una realtà che s’interroga, quelli di Delbono scavano nel profondo, come solo il teatro può fare, restituendoci emozioni.
E’ un vero piacere, in un panorama teatrale contemporaneo con poca storia e memoria, spesso basico e privo di strumenti, in cui, per emergere, solo la provocazione, spesso gratuita, viene inseguita fino al limite estremo, potere assistere ad uno spettacolo come “ La Gioia”, dal forte sapore evocativo, capace di parlare alla mente e al cuore con la messa in campo di tutte le suggestioni del linguaggio teatrale, capaci di attivare i sensi. Lo spettatore viene catapultato nelle diverse dimensioni interiori: la speranza, la solitudine, la follia, la perdita, la comunanza, il dolore, in una full immersion che penetra dentro, anche grazie alle coinvolgenti musiche di Pippo Delbono, Antoine Bataille, Nicola Toscano e autori vari, agli splendidi costumi di Elena Giampaoli e alle suggestive composizioni floreali di Thierry Boutemy.
Continuando la nostra indagine sul rapporto che l’attore o la Compagnia sceglie di avere con lo spettatore è interessante qui il ruolo di Delbono nello spettacolo: attore, regista, autore e spettatore, che interviene direttamente in scena, come è solito fare nei propri spettacoli, legittimando in qualità di spettatore di per sé la messa in scena che, aldilà della dedica dichiarata a Bobo, membro della Compagnia recentemente scomparso, sembra essere un omaggio al teatro, un inno ai lavoratori dello spettacolo, sottolineata dalla voce di Totò, la messa in scena di un lavoro sofferto del quale gli spettatori sono ignari e inermi testimoni.
Delbono si espone con le proprie fragilità: i propri dubbi e le proprie insicurezze in qualità di autore, i propri limiti fisici in qualità di attore, a differenza dei preparatissimi attori compagni di strada, in un atto consapevole di rinuncia alla prestanza in favore di una fallace umanità.
Aldilà delle scelte di campo- la Compagnia si caratterizza per l’attenzione agli ultimi, agli emarginati, ai malati, agli “imperfetti”- Delbono rimane soprattutto un geniale regista e forse mai come in questo spettacolo traspare il suo desiderio d’insegnare ad altri del teatro e della vita, quasi in un passaggio di testimone, e di come non ci sia tra le due cose differenza.
Lo spettacolo si conclude con un’interessante nota. “ Mi chiedono a volte di spiegare cosa volevo dire con lo spettacolo” dice Delbono “Come si fa a spiegare uno spettacolo: In uno spettacolo c’è tutto: la solitudine, la vita, la morte, il desiderio….”
Perché è vero, un quadro o uno spettacolo di teatro non si possono spiegare, non si possono tradurre in parole. Se si potesse farlo avrebbero fallito nel loro scopo. Un quadro o uno spettacolo, o una qualsiasi forma d’arte posseggono elementi irrazionali che non possono essere tradotti in un codice linguistico razionale; né uno spettacolo teatrale dovrebbe essere la mera trasposizione della realtà o la sua copia, se ha l’ambizione, come noi speriamo, d’illuminare lo spettatore.
Compagnia Delbono:
Dolly Albertin
Gianluca Ballaré
Margherita Clemente
Pippo Delbono
Ilaria Distante
Mario Intruglio
Nelson Lariccia
Gianni Parenti
Pepe Robledo,
Grazia Spinella
e con la voce di Bobò,
luci Orlando Bolognesi
Visto il 13.01.2022
Emanuela Dal Pozzo