“MIRACOLI METROPOLITANI” AL TEATRO SOCIALE DI MANTOVA. RECENSIONE

®Laila Pozzo

®Laila Pozzo

 

Teatro Sociale di Mantova affollatissimo, con una massiccia presenza di giovani, in occasione della messa in scena dello spettacolo “ Miracoli metropolitani”della Compagnia Carrozzeria Orfeo, che proprio in questa città ha la propria sede, spettacolo prodotto da Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini .

Lo spettacolo, con l’accattivante drammaturgia di Gabriele Di Luca, e la regia dello stesso Di Luca, di Massimiliano Setti e Alessandro Todeschi, scandaglia la nostra realtà, offrendoci una passerella di soggetti simbolo del nostro decadimento sociale, in continuità con le scelte di quelli precedenti della stessa Compagnia.

All’interno di una cucina in un seminterrato, specializzata in cibo d’asporto per intolleranti alimentari, trovano rifugio, oltre al cuoco, alla moglie dipendente dai social, al figlio problematico di lei e all’aiuto cuoca africana, un aspirante attore, un aspirante suicida e una vispa nonna nostalgica sessantottina, che ambisce ad una comunità di accoglienza piena, senza alcuna preclusione ( “Sarebbero accolti anche i pedofili?/ Certo, basta metterli lontano dagli asili”).

Ciò che succede nel mondo esterno arriva attraverso una radio, che informa sulle contrapposizioni tra problematiche di immigrati, provvedimenti governativi e reazioni violente di frange estremiste, una grata comunicante con la strada, e un passaggio/botola comunicante con le fogne, in piena emergenza per allagamenti e accumuli di spazzature e rifiuti tossici.

Molto belle e curate, a questo proposito, sono le scene e le luci di Lucio Diana, le prime funzionali a precisi aspetti comunicativi, donando respiro ad un presente comunque dichiaratamente statico, senza ambizioni evolutive, le seconde capaci di sottolinearne gli umori e le intenzioni.

Belli anche i costumi di Stefania Cempini.

La vis comica dello spettacolo nasce dal tratteggio dei caratteri di questi personaggi, così strampalati ed eccessivi, ma allo stesso tempo rappresentativi della vuotezza culturale del nostro mondo, e dalla loro interazione cinica, che si costruisce nell’immediato, senza una visione futura, anche se la comicità viene giocata su un doppio piano, per due diversi pubblici: quella della facile battuta esteriore, della parolaccia ammiccante, e quella più sottile del divertimento “intelligente” che sottolinea la decomposizione di un mondo alla deriva, somma delle reciproche solitudini- il vero dramma che sottende e mai apertamente dichiarato è il dolore, che lo spettacolo lascia intuire e sul quale la mano rimane leggera, nonostante poi il suicidio dell’aspirante suicida giunga a buon fine.

Questa leggerezza è la qualità e il limite, a mio avviso dello spettacolo, la sua forza dirompente, ma anche la delineazione di un confine nel quale vengono relegati i personaggi/ macchietta.

A questo limite lo spettacolo cerca di sopperire con contributi esterni, come le citazioni di Camus, o il racconto di brevi allegorie mitologiche, a sostegno di una morale che rafforzi il valore del tutto.

Si sarebbe dovuto allora invece, a mio avviso, lavorare più in profondità sul personaggio, toccandone anche la sfera emotiva, anche se l’attuale lavoro più esteriore ad effetto, basato sul ritmo, la voce e la postura delle singole scene, risulta comunque efficace e brillantemente condotto da tutti gli attori: Elsa Bossi, Ambra Chiarello, Federico Gatti, Beatrice Schiros, Massimiliano Setti, Federico Vanni, Aleph Viola.

Nell’evidenziare, come siamo soliti fare, il rapporto tra attori/spettatori, in questo spettacolo si cerca, dal nostro punto di vista, l’interazione con il pubblico sia attraverso un’immediata e spontanea empatia, sia con concessioni ammiccanti.

Uno spettacolo comunque da vedere.

Caldi applausi finali.

Visto l’8 febbraio 2022

Emanuela Dal Pozzo

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