IN NOME DEL PADRE. RECENSIONE

in nome del padre

Tre voci, tre padri che intrecciano la loro storia tra le mura di una palazzina. Separati l’uno dall’altro da pochi giri di scale, ma accomunati da un’altra, meno fisica ma più profonda separazione: quella dai loro figli.

E’ lo spettacolo “In nome del padre “,produzione del Teatro Stabile di Bolzano, con Mario Perrotta– sua anche la regia con la collaborazione di Paola Roscioli, così come la drammaturgia con la consulenza di Massimo Recalcati, psicanalista che alle relazioni familiari ha dedicato molto del suo lavoro– in scena al Teatro Camploy di Verona il 12 febbraio.

L’attore torna a Verona con uno spettacolo proprio, una intensa performance dai ritmi sostenuti, dopo trent’anni, come egli stesso ricorderà alla fine in un commosso saluto al pubblico in sala.

Torna con un testo che indaga la mancanza di “paternità” del nostro tempo, tre padri diversissimi per estrazione sociale, provenienza geografica, condizione lavorativa,“ in piena crisi nel più difficile mestiere del mondo”, spiega Mario Perrotta.

In scena poche cose: uno sgabello, la custodia di una chitarra, una cassa amplificata e tre sculture in legno scheletriche, quali muti deuteragonisti,a riprodurre le tre condizioni umane che caratterizzeranno i personaggi in scena e i loro figli: il discobolo (ispirato a Mirone), il pensatore (Rodin), la vittima (il Galata morente).

Tre padri, che intrecciano le proprie parlate in un semplice cambio di abbigliamento ( costumi di Sabrina Beretta) : il giornalista piccolo piccolo, dalla parlata fluente, ricca di parole vuote, cui si sovrappone il dialetto veneto, semplice e diretto, dell’arruffato operaio privo di intellettualismi ma d’impatto emotivo, per arrivare al rozzo dialetto napoletano del padre “proprietario di quattro negozi”, che si crede giovane e crede nei tarocchi, ossessionato dal sesso fino a sfiorare l’incesto con la figlia.

Muri di silenzio tra i tre padri e i tre rispettivi figli: Virgilio, Alessandro e Giada. Percorsi di comunicazione difficile che solo il padre operaio meccanico, sembra riuscire alla fine a smussare attraverso la mediazione della musica, unico linguaggio comune possibile.

Tre padri, tre storie emblematiche della nostra realtà in crisi di genitorialità, una realtà scandagliata da Perrotta con la consulenza attenta e preziosa di Massimo Recalcati, che s’indovina partecipare alla drammaturgia soprattutto nella delineazione del terzo personaggio, l’imprenditore, dalle maggiori problematiche cliniche, ma il cui sguardo è presente in ogni momento dello spettacolo.

Essenziali ed efficaci le scene di Emanuele Roma e Giacomo Gibertoni e suggestive le musiche di Giuseppe Bonomo e Mario Perrotta.

Numerose le chiamate finali e sentiti gli applausi.

Franco Ceradini

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