di Emanuela Dal Pozzo
La critica teatrale si esercita prima di tutto con lo sguardo. Il critico è prima di tutto uno spettatore, privilegiato, perché ha l’occhio allenato, abituato all’attenzione ai dettagli, al non detto, a interrogarsi, al confronto. Ma ha anche la possibilità di ascoltare il regista, gli artisti, di intervistarli, di acquisire documentazioni sul loro lavoro.
A volte il critico, spinto da curiosità professionale, si addentra nel “sottobosco” teatrale, a documentare ciò che avviene in spazi non teatrali, alla ricerca di nuove spinte, nuovi linguaggi, nuovi artisti ancora inconsapevoli di esserlo.
Altre volte rimane soggiogato dalla poetica di qualche attore o di qualche regista e ne vuole sapere di più. E allora capita che s’intrecci un dialogo personale tra quel critico e l’ artista, che il critico consapevolmente ne segua il lavoro, l’evoluzione, sentendolo quasi come una propria creatura. Il rapporto certo è professionale, ma anche affettivo. E allora, come in ogni rapporto affettivo, il critico può “ perdonare” una caduta all’artista, può comprendere la fatica del percorso e motivarla. Non lo fa per amicizia, per interesse personale, ma perché contestualizza: ha gli elementi per farlo.
Il critico è anche una persona con propri gusti e sensibilità. Perché ci piace maggiormente un regista cinematografico, ad esempio, rispetto ad un altro? Entrambi sono bravi, ma delle due diverse professionalità ne amiamo maggiormente una, senza apparenti motivazioni razionali: ci coinvolge maggiormente, il nostro animo ne viene catturato, risveglia in noi sensazioni ed emozioni che altri non penetrano.
E infine il critico è umano e quindi può, in un qualsiasi momento, anch’egli cadere: non prestare sufficiente attenzione a quell’aspetto, dare un’interpretazione errata di ciò che vede.
E quindi come si coniuga la soggettività del critico con l’oggettività che dovrebbe avere una critica?
Secondo noi con le motivazioni dei giudizi espressi, che testimoniano la propria onestà intellettuale.
E’ un modo per rintracciare anche dentro di sé le risposte di quel giudizio, di quella critica e di quell’entusiasmo, quando c’è.
Questo è il critico che ci piace.