di Emanuela Dal Pozzo
Un’altra proposta di qualità al Teatro Camploy di Verona il 18 febbraio, “Best Regards” di e con Marco D’Agostin.
Un lavoro profondo e tecnicamente impeccabile, produzione VAN, coproduzione KLAP Maiosn pour la dance à Marseille, Rencontres Chorégraphiques de Seine Saint Denis, CCN2 de Grenoble, ERT- Emilia Romagna Teatro Fondazione Centrale Fies, CSC/Centro per la Scena Contemporanea ( Bassano del Grappa), inTeatro, ERT,the Workroom ( Fattoria Vittadini), Teatro comunale di Vicenza, L’Arboreto- Mondaino, a.Artisti Associati.
Peccato che il teatro non fosse al completo come le altre sere. Davvero meritava questo giovane performer premio UBU 2018, atleta dell’anima, capace di passare con disinvoltura e perizia tecnica dalla parola, al canto e alla danza, da assoli poetici e perfetti equilibri danzati nello spazio, a naturali interazioni verbali con gli spettatori.
Il tema è il tempo. C’è il tempo interiore di incertezze che racconta fin dall’inizio, in una confessione franca apparentemente improvvisata- e già da subito si intuisce il lavoro profondo sotteso sulle azioni, sul corpo. C’è quello della danza che ritrova le pause e le azioni nell’attraversamento dello spazio scenico. C’è il tempo solitario del canto, in cui l’energia fluisce libera, quella stessa energia che si trasforma, per diventare voce, movimento, azione. Marco D’Agostin gioca e si confonde con il fondale del palcoscenico, creando effetti illusori, lo attraversa, esce e rientra senza mai perdere la concentrazione e la presenza scenica, direttore d’orchestra di se stesso.
Anche il palcoscenico si trasforma, ma nulla è casuale, e la disposizione dei pochi oggetti utilizzati disegna giochi visivi simmetrici, di grande effetto estetico, ( scene di Andrea Sanson) il tutto sottolineato dalle preziose luci di Giulia Pastore.
Poi c’è il tempo esteriore, oggettivo e soggettivo, presente nella moltitudine di lettere che si spostano da un angolo all’altro del mondo: “esiste il tempo della scrittura e poi quello della lettura, che contiene il tempo della scrittura e quello del suo viaggio per arrivare.”
Così vengono citate centinaia di lettere, passate tra le mani di poeti, scrittori e artisti del passato, lettere giunte e perse per strada, o recapitate ma mai lette, come la propria, spedita a Nigel Charnock, artista scomparso nel 2012, uno dei fondatori del DV8- Phisical Theatre, pochi giorni prima della sua morte e mai letta.
“ Caro N, eri troppo. Troppo divertente/Non proprio divertente e basta/ ma divertente rfidicolo, divertente acuto/ divertente mordace, divertente tagliente, divertente feroce,/ divertente sconfortante, divertente spaventante./ E fisico./ Sì, decisamente troppo fisico. /Troppo corpo, corpo. /Troppo corporeamente corpo per essere teatro/ e troppo comico per essere serio./ Così dicevano. Per me eri un buffone che fa sul serio …”
Marco d’Agostin con questo spettacolo gli rende omaggio: un lavoro di diversi anni, un ringraziamento ad un maestro con la dimostrazione che il suo lavoro non è stato vano e che continua anche dopo la sua morte
Un bel messaggio, coerente, trasparente, che arriva allo spettatore in modo tangibile.
La barriera invisibile palcoscenico e platea sparisce e alla fine in modo naturale, quando Marco D’Agostin sparisce dalla scena intonando una canzone, che si indovina essere dedicata al maestro, “ You die, I live, I dance; you are the dark, I see the stars”, la platea intona le stesse note con la stessa dolcezza.