“LA SCALA DI SETA” DI ROSSINI AL TEATRO FILARMONICO DI VERONA. RECENSIONE.

di Emanuela Dal Pozzo

Gradevole il nuovo allestimento della Fondazione Arena di Verona al Teatro Filarmonico di Verona “ La Scala di Seta”, farsa in un atto che Gioachino Rossini compose appena ventenne su libretto di Giuseppe Foppa.

Se la trama e il tema trattato, la relazione segreta tra due innamorati ostacolati dal tutore, non brillarono per originalità nel momento in cui vennero scritte, ricalcando i gusti europei dell’epoca, certamente la partitura di quest’opera, rappresentata la prima volta al Teatro San Moisè di Venezia nel 1812, insieme ad altre dello stesso compositore, segnò in Italia un cambio di stile.

Il giovanissimo Rossini, che tra il 1810 e il 1813 compose le farse : “La Cambiale di matrimonio”,”L’inganno felice” ,“L’occasione fa il ladro” e “ il signor Bruschino”, l’opera buffa “ L’equivoco stravagante”, l’opera seria “ Ciro in Babilonia”, l’opera comica “ La pietra del paragone” per terminare con “ L’Italiana in Algeri” e “Tancredi”, s’impose nel panorama musicale internazionale rinnovando l’opera italiana con uno stile del tutto personale.

Nella Scala di seta in particolare si colgono la ricchezza delle fiorettature e del vocalizzo acrobatico rossiniano, particolarmente presenti nel ruolo della protagonista Giulia e bene interpretata da Eleonora Bellocci, in una gamma di sfumature espressive degne di nota, nonostante i limitati volumi.

Così come degna di nota ci è parsa l’intera rappresentazione di sensibilità femminile: regia di Stefania Bonfadelli, scene di Serena Rocco, costumi di Valeria Donata Bettella, luci di Fiammetta Baldiserri, presenze che hanno saputo colloquiare e interagire con intelligenza, donandoci un’opera convincente non solo musicalmente, ma anche teatralmente.

Stefania Bonfadelli ambienta l’opera all’interno di un negozio di stoffe, alla fine degli anni ’30, giocando tra la bottega e il retrobottega, il detto e il taciuto, l’evidente e il nascosto, gli affari e le aspirazioni borghesi.

La delineazione dei caratteri dei personaggi, nell’espressività gestuale, il portamento e la camminata risulta ben tratteggiata e l’interpretazione scenica convincente.

Se Giulia è una donna astuta, capace di inventiva e di nuove soluzioni, così come il ricercato fraseggio musicale suggerisce, la cugina Lucilla, interpretata da una brillante Caterina Piva, è donna sicura di sé, con chiari obiettivi – alla fine sposerà Blansac-; il pretendente Blansac è un personaggio navigato, che conosce la vita e non si sottrae alla seduzione delle grazie femminili, così come è navigata l’esperienza dalle grandi qualità canore di Carlo Lepore che lo interpreta, interagendo in quest’occasione con un cast giovane e promettente; il pasticcione garzone Germano, che spesso, da copione, occupa la scena in modo sgraziato e strabordante, è ottimamente interpretato da un Emmanuel Franco dalla voce sicura e poliedrica; mentre Dorvil, il marito segreto di Giulia e Dormont, il suo tutore taccagno e affarista, giocano un po’ in sordina, anche se Matteo Roma nei panni di Dorvil, segna qualche momento felice interpretativo, a differenza di un Manuel Amati che abbiamo trovato piuttosto piatto, nel rispetto del ruolo del tutore Dormont, scenicamente interessante e centrato.

Esteticamente gradevoli i costumi, a sottolineare un po’ di civetteria femminile, mentre le scene, semplici e neutre, ma con utili gradini e ricchezza di stoffe, si prestano ad essere giocate dai protagonisti nei movimenti di scena, contribuendo ad alleggerirne la altrimenti inevitabile staticità.

Il giovane Direttore Nikolas Nagele dirige un‘Orchestra della Fondazione Arena di Verona attenta agli attacchi e stacchi canori dei cantanti, privilegiati rispetto alla fluidità dell’esecuzione.

Visto il 30 marzo 2022

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