di Nicola Ruffo
“Chiesi all’universo di mostrarmi la via d’uscita” (Kabir Bedi)
“Gli eroi son tutti giovani e belli”, cantava Guccini.
Chi però è cresciuto con il famoso sceneggiato televisivo di Sergio Sollima Sandokan, trasmesso per la prima volta dalla RAI nel 1976, ha ben inciso nella memoria lo sguardo magnetico e potente di Kabir Bedi quando interpreta il pirata malese nato dalla penna di Salgari. Si potrebbe quindi modificare la strofa in: gli eroi son tutti forti e impavidi.
L’attore indiano, naturalizzato italiano grazie all’enorme successo del telefilm, è, almeno da noi, più che una celebrità. È un mito. Anzi, un simbolo. Il sex appeal che promana, tra mascolina energia e sensualità, romanticismo e virilità, fascino dell’esotico e familiarità con il nostro Paese, ha conquistato tutti, maschi e femmine, giovani e anziani, intellettuali e operai. L’immaginario collettivo di intere generazioni è stato plasmato sull’icona di questa star. Kabir Bedi è parte integrante della storia italiana dagli anni Settanta in poi.
Ci voleva una biografia scritta dall’attore stesso quindi, per denudare il re e narrare il suo lato più umano, meno eroico (ma dipende da cosa intendiamo per “eroico”), senz’altro più interessante. E anche intrigante.
Nei primi mesi del 2022 Bedi è stato in Italia in un tour per promuovere il suo libro” Storie che vi devo raccontare” ( Mondadori 2021). Sì, perché superati da tempo i settant’anni e veleggiando ormai verso gli ottanta, Kabir sente il bisogno di confessarsi; di restituirsi per quello che realmente è ed è stato, come ammette senza riserve al pubblico (ho avuto il piacere di conoscerlo di persona e di parlare con lui).
Non quindi “storie che vi voglio raccontare”, ma che “vi devo raccontare”.
C’è di più dell’intenzione di un omaggio ai suoi fan. C’è l’esigenza di saldare un debito, quello di riconoscenza, verso coloro che lo hanno amato e che continuano ad amarlo – il popolo italiano in primis – e che hanno stretto con lui un patto di amicizia profondo che va al di là della semplice ammirazione per una celebrità della televisione e del cinema.
L’essenza della sua biografia è già espressa nel sottotitolo: La mia avventura umana. I due vocaboli racchiudono le strutture principali dell’esistenza di Bedi.
La sua vita è stata senz’altro un’avventura, tra momenti epici e drammatici, splendori e cadute. E rialzate, fatte con fatica e coraggio. Soprattutto con umiltà. Quest’ultimo aspetto ci restituisce il lato umano dell’uomo, nei diversi ruoli che nel suo percorso su questa Terra ha avuto: figlio, padre, sposo, amante, prima ancora che attore e star.
Nel libro, Bedi racconta la sua vita senza necessariamente seguire un ordine cronologico, ma approfondendo, nei vari capitoli, aspetti e dimensioni per lui rilevanti. Sulla sua carriera professionale parte dagli esordi, come la rocambolesca intervista agli amatissimi Beatles per conto della All India Radio, per arrivare al successo mediatico con Sollima nel Sandokan televisivo. Ci parla della sua popolarità conquistata a Bollywood e del suo flop a Hollywood.
Nel versante sentimentale ci svela le vicende amorose fatte di sogni e delusioni, le storie con le diverse mogli che ha avuto, le infatuazioni e le relazioni significative. Non ci risparmia nemmeno della tragica morte della sua prima consorte, Protima, sepolta sotto una frana sull’Himalaya e il cui corpo non è più stato ritrovato.
Due punti toccanti riguardano il suicidio del figlio Siddharth e le lotte politiche dei genitori per l’indipendenza dell’India. Pagine colme d’emozione sono riservate alla madre, donna combattente che, alla fine, sceglie la via spirituale facendosi monaca buddista.
Lo scritto di Bedi è un’opera di demistificazione dell’eroe, ma non di demolizione. Ciò che traspare, tolte le maschere mediatiche, è la persona con la sua umanità, fatta di fragilità e sogni.
Per noi, comunque, nulla cambia: nel nostro cuore: Kabir Bedi è e sarà sempre il nostro Sandokan.