Esperienza profonda e toccante oggi 7 dicembre al Teatro Nuovo di Verona, al primo dei tre incontri spettacolo a ingresso libero, organizzati dal Teatro Stabile di Verona, dal Comune di Verona e dal dipartimento Culture e Civiltà dell’Università di Verona.
In scena Marco Campedelli che, oltre ad essere il testimone dell’eredità di Nino Pozzo, noto burattinaio veronese di cui oggi ricorre l’anniversario di nascita (7 dicembre 1901) è, sottolinea Nicola Pasqualicchio nella breve introduzione, uno dei burattinai più originali e significativi del Veneto, insieme a Paolo Papparotto di Treviso ( in questa mini Rassegna il 14 dicembre con il nuovo spettacolo in coproduzione con L’Aprisogni) e Gigio Brunello dell’area veneziana, ( al Nuovo il 21 dicembre), entrambi noti per i numerosi riconoscimenti ricevuti.
E certo l’originalità a Marco Campedelli non manca nell’affrontare con i burattini della baracca “Teatro Mondo Piccino” , fondato nel 1923 da Nino Pozzo, lo spettacolo “ Pan e pessin. Miracoli e dintorni”, costruito con l’apporto di Antonio Fochesato, che indaga tematiche legate al Vangelo e alle sue Parabole.
I protagonisti, spogliati della propria intoccabile sacralità, si umanizzano attraverso le maschere della Commedia dell’Arte, diventando portavoce di graffianti critiche sociali, recuperando l’antica funzione del teatro di burattini, non spettacolo di intrattenimento per bambini, come spesso erroneamente si crede, ma satira popolare contro i potenti, con tanto di sbirri in piazza ad annotare le frasi poco rispettose e il conseguente far fagotto veloce dei burattinai ( “ chiudere baracca e burattini”).
Introdotto da Francesca Cecconi, studiosa dell’opera di Pozzo e della sua successiva evoluzione, quella di Marco Campedelli, più che uno spettacolo, diventa una dimostrazione di lavoro che, a partire da una manifesta iniziale consapevolezza della responsabilità del ruolo, via via si spoglia, mettendo a nudo, in chiave umano/teatrale, umori e sentimenti, come solo gli artisti sanno fare.
Già nella intensa lettura introduttiva di Campedelli si ravvisano i cardini della sua poetica, fatta di stupore fanciullesco e di abbraccio dell’umanità; un sottile velo di tristezza sembra trasparire dai ricordi infantili, legati alla figura di Pozzo che il burattinaio frequentava, di antichi profumi e sapori e di un mondo conviviale che sembra essere solo lontano ricordo nostalgico.
Uno struggimento che permane, nonostante le battute argute ed ironiche di intelligente divertimento che si scambiano i protagonisti delle parabole, per bocca e vesti di Arlecchino, Pantalone e Pulcinella, da un Dio stanco e impotente di fronte all’evoluzione imprevista di un mondo assurdo di cui rifiuta di riconoscerne la paternità, ad un Giudizio Universale che non risparmia nessuno, da incursioni campane (“ i burattinai parlano tutte le lingue”), grazie ad un Pulcinella tutto partenopeo in Paradiso, opera dell’altrettanto bravo collega burattinaio napoletano Nasuto, ( abbiamo avuto modo di conoscerlo e vederlo all’opera), alle gag della coppia emiliana Sandrone/ Fagiolino, che arricchisce la Baracca Pozzo.
Un muto interrogativo su noi stessi e il nostro futuro s’intreccia con il manifesto desiderio che qualcuno raccolga il testimone di questa preziosa eredità di burattini e dell’arte che li accompagna, inducendo nello spettatore il desiderio di silenzio e di riflessione che accompagnano la tristezza di un intero mondo evocato che si chiude.
Ad un certo punto Campedelli lancia una frecciata contro il teatro istituzione che non riconosce il valore dell’utilizzo dei burattini, considerato teatro di serie B.
Io mi chiedo se non sia proprio questa scarsa attenzione da parte delle Istituzioni a mantenere questa forma d’arte libera nell’espressione e integra nei contenuti, non ancora fagocitata e manipolata ad hoc dall’industria culturale.
Visto il 7 dicembre 2022
Emanuela Dal Pozzo