RECENSIONE DEL LIBRO DI ADRIANA CAVARERO “NONOSTANTE PLATONE- FIGURE FEMMINILI NELLA FILOSOFIA ANTICA”

di Nicola Ruffo

Nel pur vasto campionario della tradizione nessuna figura può risultare adeguata alla soggettività femminile che ne fa richiesta, proprio perché in questa tradizione è appunto tale soggettività femminile a essere occultata nelle maschilissime figure di uomini e nelle figure di donne pensate dagli uomini

(Adriana Cavarero)

Recensire un libro di Adriana Cavarero è una bella responsabilità, sia per la profondità del pensiero dell’autrice, sia per la complessità dei temi trattati. E pure per l’autorevolezza di questa donna: docente di filosofia politica all’Università di Verona, visiting professor presso la New York University, cofondatrice della comunità filosofica femminile Diotima, nonché una delle figure di spicco del pensiero della differenza sessuale e del femminismo contemporaneo.

L’occasione è fornita dalla nuova edizione di uno dei suoi più celebri lavori, Nonostante Platone, del 1990, che Castelvecchi (Lit Edizioni) ha quest’anno pubblicato. A parte una ristampa alla fine degli anni Duemila, il testo è rimasto a lungo introvabile. Un doveroso grazie all’editore, quindi, per la riproposta di un libro prezioso.

L’autrice punta il dito contro Platone ma non per limitarsi a una critica teoretica al pensiero del filosofo greco. Il suo è solo il punto di partenza per arrivare a un j’accuse, garbato ma puntuale e serrato, contro l’intero impianto filosofico occidentale, fondato su logiche patriarcali che hanno escluso la soggettività femminile dalla partecipazione al dibattito – dalla polis – relegandola in ruoli imposti, non da lei liberamente scelti, lontani comunque dai luoghi decisionali.

La filosofia occidentale è, fin dalle origini, l’esaltazione del pensiero astratto, delle idee iperuraniche, incorruttibili ed eterne, sede della Verità unica a cui il filosofo, con la sua attività mentale, tende. La dicotomia tra questa dimensione e il mondo materico, soggetto al divenire, transeunte e pertanto mortale, si pone netta e spietata, senza appello o possibilità di mediazioni.

Tale astrazione, parmenidea o platonica, per giustificare il suo statuto ontologico deve rinnegare il mutamento, le singolarità delle vite individuali, i corpi soggetti a degradazione, le appercezioni sensoriali, il nascere e il perire.

Il disprezzo per queste categorie e l’edificazione di un universo ideale dove rifugiarsi è però un’operazione tutta al maschile. L’Uomo (maschio), non dotato della potenzialità della maternità (attenzione: potenzialità, non dovere biologico e/o sociale), si appropria di questa attraverso una mimesi simbolica che necessita del matricidio (la donna diventa mero strumento procreativo) e glorifica la produzione filosofica (“vera” generazione) come la sola degna di considerazione.

L’uomo genera l’uomo, diceva un tempo Aristotele volendo attribuire allo sperma paterno l’interezza causale della generazione; ma è più esatto dire che gli uomini generano L’Uomo, partorendo così […] qualcosa di eterno in quanto, almeno nelle pretese, universale”.

Nel suo riversamento nella quotidianità, tale stravolgimento lo vediamo nella più mondana separazione concettuale tra corpo e mente; il primo compete alla donna (essere funzionale alla procreazione di corpi mortali), il secondo compete all’uomo (l’attività del pensare che porta alle Idee eterne).

L’identità femminile viene fatta coincidere con la sola capacità procreativa, negandole in tal senso l’interezza del suo essere.

Nell’Iperuranio ogni differenza sessuale viene nullificata in un Soggetto neutro totalizzante, l’Essere, ma in realtà declinato al maschile.

Adriana Cavarero però recupera le singolarità, l’alterità, la vita che esperiamo con i sensi, la realtà che diviene, che nasce e muore, le differenze sessuali che determinano produzioni di senso non omologabili in un Unico universale indifferenziato. E lo fa non in quanto semplice contrapposizione di un registro materico alle elucubrazioni della filosofia maschile, bensì perché è questo il reale contesto dove viviamo, dove veniamo alla luce, dove si giocano i nostri destini (e non in un mondo astratto, asettico e immutabile).

Perché mai nasce, e vive, l’Uomo, bensì sempre, singolarmente, o un uomo o una donna, sessuati nella differenza”.

E ancora: “[…] sarò pertanto questa donna o questo uomo, mai l’uomo, e sarò pertanto, da subito e per sempre, quest’intero di mente e corpo mai scotomizzabili in una materia superflua e in un pensiero essenziale”.

L’autrice compie la sua analisi partendo da una rilettura di quattro figure di donna della tradizione: Penelope, la servetta di Tracia, Demetra e Diotima.

Con grande competenza, non priva di punte di ironia, ci conduce in una narrazione che ribalta i quadri concettuali nei quali ci siamo formati e formate. Ci induce a rivedere i rapporti di genere, a riconsiderare i ruoli sociali, le “nature” che davamo per scontate.

Nonostante Platone è un’opera più che consigliata; non facile, certo – richiede attenzione e un minimo di conoscenze filosofiche – ma dalla quale alla fine se ne esce trasformate e trasformati. In meglio, ovviamente.

 

NONOSTANTE PLATONE

di Adriana Cavarero

Castelvecchi – Lit Edizioni

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