Certo non dovremmo stupirci di questa bizzarra rilettura Cechoviana in chiave napoletana di uno dei suoi massimi capolavori “Il giardino dei ciliegi”, dopo le varie traduzioni dialettali perfino delle tragedie greche ( che in assenza di rigore filologico e di profondità di analisi rischiano di trasformarsi in farse), per non parlare delle fantasiose operazioni attuate sulle opere liriche che talvolta sembrano più libere espressioni della mente del regista, motivate più dal suo desiderio di creare appropriandosi di un tessuto già pronto ( partitura e libretto), che di un lavoro di scavo sui significati e sulle intenzioni dell’autore.
Non sappiamo se in questo caso la colpa sia della traduzione di Gianni Garrera o dell’adattamento e regia del napoletano Luca De Fusco, ma certo la messa in scena di “Il Giardino dei ciliegi “ di Anton Cechov, secondo appuntamento della Rassegna “Il Grande Teatro” al Nuovo di Verona dal 16 al 21 dicembre 2014 , coproduzione del Teatro Stabile di Napoli e del Teatro Stabile di Verona, sembrerebbe più un omaggio campanilistico a Napoli che al noto drammaturgo russo, tanto i personaggi sembrano appartenere ad una Napoli di oggi, prendendo della città partenopea intercalari e atteggiamenti: un duro colpo per la complessità della drammaturgia Cecoviana che, impoverita, si riduce ad un unico sentimento generale di precarietà.
In sostanza, con la dichiarata intenzione del regista di un suo “approccio mediterraneo” si è fatta piazza pulita delle atmosfere Cecoviane e di quei delicati equilibri sospesi tra passato e presente in un clima impalpabile d’attesa, che hanno fatto un capolavoro di quest’opera.
Così cambiati gli accenti, la drammaticità di Ljuba ( Gaia Aprea) diventa schizofrenia e tutto si carica di colori eccessivi ,o inopportuni, nelle caratteristiche coloriture napoletane, quando non superficiali giochi umorali incapaci di incidere.
Quanto alla recitazione in sé, a parte la scelta di regia, appare nel complesso fredda perchè accademica. Rimane la professionalità attoriale delle intonazioni e della dizione, ma si perde la carica empatica e comunicativa, la più importante per la sua capacità di convincere.
Tutto questo almeno nel primo tempo, poiché al secondo non sono arrivata.
Calato il sipario al primo atto, alcuni signori non giovani delle prime file davanti alla mia scuotevano la testa in segno di dissenso e di perplessità e qualche signora dichiarava di non avere apprezzato l’opera, mentre dietro un gruppetto di giovani chiedeva quanto ancora sarebbe durato il tutto, domanda che ha fatto scattare in me l’irrefrenabile desiderio di andarmene al pensiero di dovere sopportare lì inchiodata alla sedia un’altra ora e mezza di scena fissa e bianca, morta almeno quanto i personaggi, con, fino a quel momento, rare idee sceniche peraltro non necessarie.
Un allestimento davvero molto molto lontano da quel “Giardino dei ciliegi” realizzato dal Piccolo Teatro di Pontedera con la regia di Jerzy Grotowski , capolavoro che ho avuto la rara fortuna di vedere e delle cui scene conservo ancora il ricordo: scene “sospese” nel divenire del tempo.
Emanuela Dal Pozzo
PERSONAGGI:
Gaia Aprea Lijuba
Paolo Cresta Jasa
Claudio Di Palma Lopachin
Serena Marziale Dunjasa
Alessandra Pacifico Griffini Anja
Giacinto Palmarini Trofimov
Alfonso Postiglioni Piscik
Federica Sandrini Varia
Gabriele Saurio Epichodov
Sabrina Scuccimarra Sarlotta
Paolo Serra Gaev
Enzo Turrin Firs
scene Maurizio Balò
costumi Maurizio Millenotti
luci Gigi Saccomandi
coreografie Noa Wertheim
miusiche originali Ran Bagno