Che “Don Pasquale” sia un’opera , nonostante le apparenze, niente affatto facile dal punto di vista dell’interpretazione vocale e scenica della partitura è cosa che dovrebbe essere nota a chi decida di metterla in cartellone oggi, in un momento cioè in cui non si accettano più in teatro siparietti di maniera uniti a gag e ammiccamenti furbeschi che , d’uso normale ormai anche nei più rinomati e seri programmi televisivi , si vorrebbero estranei dal palcoscenico, dove operazioni coerenti e meditate dovrebbero essere alla base di ogni allestimento . Ciò si è mostrato particolarmente evidente nel caso della celebre partitura donizettiana presentata dal Teatro La Fenice di Venezia , sempre attento ad ospitare produzioni in cui molto spesso un’astuta ed autentica teatralità si sposi con un’idea originale e convincente .
Così in questo caso l’azione veniva traslata dalla Roma di un non precisato periodo storico, all’interno della fabbrica tessile “Da Corneto” ( “Io Pasquale da Corneto” discetta il protagonista durante il duetto col nipote nella Sc. III dell’Atto I ) intorno agli anni ’30 /’40 del Novecento periodo in cui la commedia anche musicale s’imponeva nel panorama cinematografico internazionale e nazionale . Era l’epoca in cui in Italia erano molto amate le pellicole che combinavano lo stile dei “telefoni bianchi ” a quello musicale in cui spesso celebri nomi del panorama lirico comparivano quali protagonisti. Partendo da questa ambientazione la regia di Italo Nunziata procedeva con equilibrio, intelligenza e vivacità sempre in bilico tra una venata e raffinata ironia ( quasi alla Camerini) ed il trascinante dinamismo della ‘pochade’ . Il gesto, sempre accuratamente cesellato e la cura nella definizione dei personaggi, risolvevano un’operazione davvero mirabile in cui l’armonia dei simpatici quadretti teatrali ( irresistibili le dattilografe ) ben si sposava con l’omogeneità dell’insieme che le scenografie ed i costumi, storicamente ricercati, di Pasquale Grossi contribuivano a tratteggiare.
Sul palcoscenico era impegnato un cast che presentava più di un motivo di interesse.
Roberto Scandiuzzi con la rotonda e sapiente vocalità che gli è propria , sempre musicale ed in crescita nel corso degli Atti , disegnava un protagonista assai lontano dalla consueta tradizione interpretativa ; determinato , arguto e raffinato quanto concentrato sul futuro della sua azienda e da quella assolutamente assorbito, il suo Don Pasquale appare diretto e coinvolgente. Dal suo copione interpretativo è completamente assente la farsa ma presentissimo l’umorismo e la naturale disinvoltura , mai patetica ma sempre espressione di quella gioviale completezza che spesso l’età matura reca agli uomini migliori, che lo rende perfettamente in linea con la partitura donizettiana e lo aiuta nella definizione di un caparbio ma bonario imprenditore per il quale non si può non parteggiare.
Alessandro Scotto Di Luzio nel ruolo di Ernesto non accompagnava alla figura disinvolta e teatralmente vincente una uguale resa vocale . Il timbro del giovane tenore è estremamente bello e da autentico lirico-leggero ma, in questo momento, la tendenza ad ingrossare le note centrali lo costringe in un’emissione forzata che , specie nel registro acuto , lo porta a stirare un po’ troppo il timbro . Un vero peccato per una vocalità così giovane ed interessante che necessiterebbe ancora di maggior studio e dominio tecnico per padroneggiare serenamente il suo interessante strumento.
Barbara Bargnesi, impegnata nel ruolo di Norina, possiederebbe anch’essa un timbro più che interessante ed adattissimo a questo repertorio. Molto musicale, precisa ed attenta al giusto fraseggio ed accento, la vocalità della giovane soprano mostrava altresì una certa fissità nel registro acuto che deve porla in allerta e portarla a limare ed irrobustire opportunamente una tecnica , nel suo complesso più che buona.
Senza riserve invece l’interpretazione del Dott. Malatesta offerta dal baritono Davide Luciano che per giusto timbro, musicalità accento , dizione e fraseggio risolveva il carattere brillantemente unendovi una teatralità sempre attenta e vincente.
Completavano il cast : Matteo Ferrara (Un notaro), Valeria Arrivo e Mercedes Cerrato (Due cameriere), Enzo Borghetti e Marco Rumori (Due servi).
Ottima la prova del Coro del Teatro La Fenice diretto dal M° Claudio Marino Moretti .
Omer Meir Wellber , nonostante qualche disequilibrio buca-palcoscenico, ben tratteggiava la brillante partitura donizettiana risovendola (in sintonia con la lettura registica) più sul versante comico (tempi serrati e dinamiche mosse) che su quello patetico.
Teatro gremito ed applausi per tutti gli interpreti ed il Direttore per questo felice allestimento che, tenendo ben presente l’importanza in teatro di giusti ritmi, tempi ed equilibri. mostrava di saper ben calibrare tradizione e contemporaneità.
Venezia, 18/02/2015
SILVIA CAMPANA