E’ una nuova produzione di Jacopo Squizzato, autore che ne firma anche la regia, questo lavoro ambizioso “ La casa del giocattolo” in scena in uno dei locali di Spazio Mio in via Corte Salvi di S.Massimo di Verona il 7 e 8 marzo 2015 e interpretato da Katia Mirabella, Paola Compostella e Jacopo Squizzato.
Una piacevole sorpresa se si pensa alla giovane età di Squizzato, non alle primissime armi perchè già interprete di spettacoli ben più noti Shakesperiani per la regia di Valter Malosti e diplomatosi alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, ma alle prime esperienze come autore e regista, e al suo accostarsi al teatro con un testo di contenuto di non facile conduzione: l’indagine in chiave introspettiva del rapporto tra una madre e una figlia, tornata a casa dopo una lunga assenza.
La presenza della giovane ragazza nella sua casa d’infanzia però non sembra riuscire a rivitalizzarla. La casa, governata dalla madre e svuotata di vita, rimane impermeabile alla nuova presenza e il confronto tra le due protagoniste assumerà toni drammatici in una sfida al gioco, pretesto per esprimere le reciproche ostilità.
Questo tema sottile e complesso va ad affiancarsi però ad altre tematiche che intrecciano i destini e le aspettative consapevoli o meno dei tre protagonisti, ( c’è anche il fratello interpretato da Jacopo Squizzato) mentre la casa acquista una solidità di carattere e di presenza tale da potersi considerare quarta protagonista. Così lo spettacolo diventa un dedalo labirintico in cui le diverse direzioni vengono più intuite che sviluppate, simbolicamente rappresentate più che agite e la cui trama fitta di convergenze concettuali rimane spesso inespressa.
Nonostante alcuni momenti scenici di fascino, particolarmente quelle del testamento e del cimitero legate alla morte, alcune intuizioni e scelte di regia originali ed efficaci, il risultato complessivo è perciò quello di uno spettacolo che si dirama in tante direzioni non sempre ben governate, con tante sollecitazioni spesso eluse sul piano drammaturgico, con un’interpretazione attoriale che meriterebbe essere maggiormente approfondita, nella consapevolezza che un’indagine psicologica così complessa debba essere la risultante di equilibri delicati e di riflessi interiori più che di asperità a confronto.
Siamo certi che lo spettacolo, ora alle prime repliche, crescerà, anche se la complessità e la qualità dei contenuti presenti possono sembrare davvero scogli importanti per interpreti così giovani tanto nella vita che artisticamente.
Apprezziamo però la qualità dello sguardo di chi sceglie un teatro che guarda alla vita e alle sue problematiche, scelta non facile e non sempre vincente, specie a Verona, città che sembra trovare il proprio equilibrio cullandosi nel “già visto” e che raramente sembra capace di testi originali.
Apprezziamo anche qualche segnale interno allo spettacolo che ci fa intuire l’autenticità di una firma di regia che potrebbe nel tempo affermarsi e siamo curiosi di seguire il percorso futuro di questo giovane artista.
Emanuela Dal Pozzo