“– Scusa hai una sigaretta?- Se vuoi ho il tabacco!- Fantastico. Grazie.- Nella chiusura posteriore del borsello trovi filtri e cartine!- Per caso trovo anche il tuo numero di telefono?”
Queste non sono le battute dello spettacolo ma una conversazione di due “normali” spettatori ( in apparenza senza disturbi mentali) nel foyer del Teatro Studio Uno di Roma la serata del 4 aprile 2015 mentre attendono l’apertura della sala.
Normali? Forse perché sono solo spettatori? E se soffrissero anche loro di qualche forma psicotica? Della “malattia di cupido” ad esempio o forse della sindrome di Tourette? Beh se è così allora dovrebbero chiedere aiuto al dottor Scaccianoci!
“Il Signor Fortunato e altre storie”, prima produzione dell’Associazione Culturale Il Volo del Calabrone, è andato in scena dal 31marzo 2015 al 5 aprile 2015.
Lo spettacolo è stato scritto e diretto dal giovane regista e attore lucano Liborio Luca Mazzone, che ha vestito i panni anche del personaggio “Il Signor Fortunato”. Tra gli altri interpreti dello spettacolo troviamo giovani attori provenienti da diverse regioni italiane: Elisa Armellino, Daniele Bianchini, Marco Fasciana, Laura Garofoli, Ezio Passacantilli., Ania Rizzi Bogdan e Martina Storani, che uniti dalla passione per il teatro e dalla forza e il coraggio di voler mettere in scena questo spettacolo, si sono messi in gioco, creando un’atmosfera e una magia che solo il teatro a volte ci dona.
La rappresentazione, ispirata al “L’ uomo che scambiò sua moglie per un cappello” di Oliver Sacks, è una riflessione sul disagio mentale. Ogni storia ( sei in tutto), vengono raccontate con toni a volte ironici, a volte amari e produce agli occhi di chi la sta vedendo delle riflessioni sulla natura più profonda delle malattie mentali. I “pazzi” di Mazzone sono trattati come degli animali circensi chiusi in una gabbia, con la caratteristica di essere forti e deboli allo stesso tempo, di essere degli ingenui malati mentali, che raccontano la loro malattia a chi si sente diverso da loro. Ma chi è il diverso? Chi è in gabbia? Noi (spettatori) o loro (malati mentali)?
Il regista ha pensato bene di inserire nello spazio teatrale proprio una gabbia, che oltre a far da elemento scenografico, fa da specchio allo spettatore seduto sulle panche del teatro, ponendogli degli interrogativi su chi è succube del disturbo mentale. Rispetto agli animali in gabbia abbiamo noi identità sana per poter giudicare la malattia altrui? O abbiamo anche noi quel lato oscuro nella nostra personalità, quell’ombra Junghiana che non ci fa guardare oltre la gabbia?
La mise en scène vive di questi interrogativi. Lo spettacolo, oltre a portare il nostro sguardo al di là della gabbia dove vive chi soffre di disturbi mentali è anche un’ operazione ben riuscita di teatro itinerante. Lo spettatore si trasforma in visitatore, non vede quindi solo ciò che sta avvenendo sul palcoscenico, ma è egli stesso parte integrante dell’evento. Il testo di Liborio Luca Mazzone inonda il pubblico, gli va addosso, i filtri culturali tra noi e il testo sono azzerati. L’allestimento gode di una rigorosa funzionalità antinaturalistica, offrendo allo spettatore deambulante una nuova percezione dello spazio teatrale. Assistendo a questo spettacolo percepiamo un nuovo gusto di fare teatro. Qui non si guarda solo una rappresentazione, ma la si visita, o meglio la si attraversa, veniamo trasportati da una riva all’altra, da un girone all’altro, trovandoci davanti a un percorso onirico, un sogno che solo il teatro riesce a fare diventare sensoriale.
Paolo Pitotti