Luci e ombre per l’allestimento del Rigoletto al Teatro Sociale di Mantova il 20 novembre 2015, in una veste sottotono dal mio personale punto di vista sotto diversi profili: quello scenografico, che pur mantenendosi fedele ad una tradizione scevra di ogni concettualizzazione in chiave contemporanea, non ne ha messo in risalto le potenzialità di colore proprie dell’epoca, ( nemmeno i costumi sono riusciti a dare un’impronta accattivante) rimanendo in superficie, semplificando ed appiattendo le scene anche con scelte poco gradevoli sul piano estetico, ( immobili, squadrate e poco agite sia la casa di Rigoletto che la locanda di Sparafucile, poco caratterizzato anche il palazzo del Duca); quello registico legato ai movimenti interpretativi di scena , che non ha saputo rendere la vivacità corale di molti momenti così come il libretto suggerirebbe, né sostenere le azioni individuali e di coppia; quello coreografico, poco convincente sia nella scelta dei personaggi rappresentati che nella loro espressione interpretativa ( rimane ad esempio poco chiara la scelta della presenza di un arlecchino peraltro snaturato dalla propria gestualità); infine quello musicale, con una direzione d’orchestra più preoccupata ad accordarsi con i cantanti in momenti chiave di esecuzione solista che ad interpretare la ricchezza di sfumature insita nell’opera, con il conseguente spaesamento di chi in scena- si è avuto la sensazione dalla platea – non trovasse appoggi.
Tutte considerazioni queste che mi inducono a pensare, su un piano strettamente teatrale rispetto al quale mi sento maggiormente autorizzata ad esprimermi, che non manchino le qualità ai singoli interpreti, né forse gli strumenti d’operare di chi li guida, quanto piuttosto quell’attenzione al dettaglio, quel desiderio di approfondimento così importanti a teatro ( e che ne fanno la differenza) e che certo richiedono un progetto più saldo e un maggior numero di prove.
Ciò che invece subitaneamente e imprevedibilmente ha brillato ( e a questo punto dovremmo dire di luce propria) sono stati i personaggi ( e le voci) di uno splendido Rigoletto ( Marzio Giozzi) in chiave interpretativo teatrale- perfettamente aderente al ruolo in ogni istante e per il quale solo sarebbe valsa la pena di assistere a questo allestimento e di Gilda ( Linda Campanella), indovinata e intensa interprete.
Entrambi, ammantati di speciale aurea e perfettamente compresi nella propria parte – lo si è particolarmente evinto al bis alla fine del secondo atto a scena chiusa in cui perfino l’orchestra poteva risultare un “di più”- hanno fatto dimenticare a tutto il pubblico presente carenze e perplessità circa questo allestimento.
Molto meno pregnanti o significative ci sono parse tutte le altre interpretazioni.
Merita citazione il giovane e acerbo Duca di Mantova ( Angelo Fiore), che nonostante energia e presenza scenica non è però riuscito a penetrare la superficie del proprio personaggio, peraltro poco aiutato nella complessiva situazione, né ad interagire in modo scenicamente convincente con gli altri personaggi/interpreti, più attento ad emergere nel ruolo che ad essere strumento di un tutto organico.
Crediamo che, a prescindere dalle singole qualità vocali e preparazioni professionali di ciascuno, rispetto alle quali non entriamo in merito, sia necessaria un’ulteriore riflessione a giustifica parziale di quanto spesso emerge dalle produzioni liriche: la scarsa preoccupazione di ciò che avviene in scena, quasi che il contesto teatrale drammaturgico e coreografico che accompagnano la partitura cantata, fatto dai corpi dei ballerini e cantanti /attori e dalle loro azioni e interazioni nello spazio /palco siano corollario in aggiunta, sottolineatura ulteriore ma non necessaria.
Forse andrebbe ridiscussa anche l’importanza che questi elementi giocano in buona parte della critica dell’opera lirica, che al massimo prende in considerazione l’opera di turno secondo un profilo di regia generale, nelle scelte e motivazioni interpretative di trama e contesto e che al contrario si dimostra particolarmente attenta e puntuale nelle analisi delle caratteristiche vocali di ciascun interprete, dimenticando che l’opera non è una registrazione radiofonica ma pur sempre un’espressione teatrale.
CAST
Sparafucile- Tullio Silvio Falzoni,
Conte di Monterone- Davide Ruberti,
Contessa di Ceprano/Giovanna- Piera Coppola,)
Maddalena- Silvia Pasini,
Marullo- Bruno Boni,
Matteo Borsa- Angelo Goffredi,
il Conte di Ceprano-Luca Bauce,
Paggio- Iris Composta,
Uscere di Corte- Andrea Ridolfi)
Regia: Giampaolo Zennaro
Direzione artistica e musicale: Maestro Riccardo Leon Boeretto
Assistente alla regia e coreografie: Marina Genovesi
Maestro del Coro: Ubaldo Composta
Emanuela Dal Pozzo