Una mostra decisamente intimista, nei contenuti e nelle modalità, quella in chiusura il 14 gennaio 2017 al Palazzo Roverella di Rovigo, con un pubblico vivacemente interessato e fluido che occupa le salette composte della mostra.
Ci si sente bene, avvolti e protetti negli spazi che aprono varchi, angoli, ad esibire curiosità e quadri noti, a riempire anelli mancanti di una memoria che spesso ritrova i capisaldi nei quadri d’autore celebri che hanno fatto la storia dell’arte degli ultimi decenni dell’800 e dei primi del ‘900.
Non solo Gauguin a celebrare il fascino della semplicità che aveva attratto in Bretagna in cerca di silenzio, natura e forse spiritualità alcuni giovani pittori scappati dalla vita mondana parigina dunque, un desiderio, una tensione comune di purificazione anche nelle linee essenziali, sintetiche, nel cogliere la vita quotidiana, le tradizioni, i lavori manuali e duri degli abitanti, ma che trovano soprattutto nell’incontro con Gauguin, reduce dell’esperienza impressionista e attratto dall’iconografia giapponese, l’avvio di un nuovo movimento, quello dei Nabis (profeti).
L’amicizia di Paul Gauguin con Emile Bernard porta ad un’attività di pittura e di scambio/ confronto frenetico. Nasce il Sintetismo: le forme diventano essenziali, spariscono i particolari lasciando spazio a campiture più ampie contornate da linee scure, sparisce la prospettiva e i colori non brillano più alla luce come nell’impressionismo, ma si tingono di emozioni. La realtà non è più descritta ma vissuta a livello emozionale, più nel ricordo dell’immagine che nell’osservazione dal vivo. Sono di Gauguin di questo periodo “La visione dopo il sermone”, che diventerà il manifesto del movimento e “Vacche all’abbeveratoio”, nel quale si vede chiaramente l’influenza impressionista con le nuove contaminazioni del sintetismo nell’alleggerimento della composizione, più attenta alla delimitazione di zone chiare e scure che alla cura dei dettagli. Ugualmente troviamo le ancora più emblematiche opere di Bernard “Tre teste di donne bretoni con cuffia vedovile” e “Costa bretone, Saint-Briac” entrambe giocate su ampie zone con cambi netti di colore delimitati da contorni ed una pennellata larga.
La testimonianza del fervore di quegli anni ( 1888- 1894) ci viene dal dipinto del coperchio di una scatola di sigari fatto da Paul Seriseur in una sera di ottobre del 1888, durante uno scambio/ confronto artistico con Gauguin, diventato l’atto ufficiale di nascita del Simbolismo pittorico: un dipinto in cui emerge l’uso del colore puro quale espressione emotiva di ciò che l’artista vede.
L’anno dopo sarebbe nato il movimento dei Nabis.
La mostra prosegue con le opere di Paul Serusier, Paul- Elie Ranson, Charles Filiger e Georges Lacombe, soffermandosi particolarmente su Maurice Denis, attivo sostenitore e teorico del movimento, qui presente con le opere “Nudo di schiena” ( 1892), “Mattino di Pasqua” (1892).
L’esperienza dei Nabis influenza anche l’Italia, particolarmente i pittori che ruotavano a Ca’ Pesaro come Gino Rossi. Nasce una seconda “Bretagna” a Burano. Burano ha caratteristiche simili alla Bretagna, nel modo di vivere e nella vivacità di tradizioni che si conservano integre, favorite da un territorio delimitato e a se stante.
Si forma così un’avanguardia pittorica, in particolare Gino Rossi, Arturo Martini, Umberto Maggioli e Teodoro Wolf Ferrari, che testimonia con le proprie opere l’interesse per l’isola veneziana, opere in cui si coglie chiaramente la lezione di Sintetismo di matrice francese.
Qui in mostra le opere di Gino Rossi “Paesaggio di Burano” ( 1912), “Barene a Burano” (1912-13), “ Il muto”, alcune litografie di Martini e altre opere di altri autori dello stesso periodo.
L’ultima parte della mostra è dedicata alle suggestioni dell’intimità domestica.
Negli anni successivi l’attenzione si allarga ad ambienti borghesi nei quali i soggetti sono ritratti in momenti di vita quotidiana, come spiati tra vizi privati e pubbliche virtù, a volte sorpresi davanti allo specchio o seminudi dormienti.
Sono le opere di Felix Vallotton, Oscar Ghiglia, Felice Casorati con il suo splendido “ Bambina che gioca su un tappeto rosso” (1912), colta in un attimo di riflessione tra i giochi del passato e l’avvenire ancora “da scrivere”, e le contaminazioni della “Nuova Oggettività” tedesca di Cagnaccio di San Pietro.
Vista il 5.1.2017
Emanuela Dal Pozzo