Prima o poi, in Amleto ci si cade e lo si attraversa. È Luogo, dove è possibile, nel momento della maturità, fare una fotografia della propria visione e del proprio percorso teatrale. E così avviene in questo ultimo lavoro prodotto da Fortebraccio Teatro, compagnia che, non solo nel nome, è intrisa d’amore per Shakespeare : Roberto Latini riscrive Die Hamletmachine di Heiner Müller, che aveva riscritto l’Amleto e, in questa riscrittura di riscrittura, usa lo sguardo di Fortebraccio, colui che arriva in una scena di morte quando “il resto è silenzio”.
Lo spettacolo, per le musiche e suoni di Gianluca Misiti, luci e tecnica di Max Mugnai, drammaturgia di Roberto Latini e Barbara Weigel, in scena a Milano al Teatro Litta fino al 29 gennaio 2017, vede come unico protagonista Roberto Latini che, smontando e rimontando i personaggi del testo shakespeariano, ci conduce nell’inquietudine dell’essere umano, ma anche nelle riflessioni sull’essere in equilibrio dell’attore/maschera/burattino/acrobata e sull’essere personaggio, sulla condizione stessa del Teatro.
E tutto considerato, nella consapevolezza dello stato di quest’arte e dello stato socioculturale, per quanto spiazzanti e agghiaccianti, certe durezze, certo modo gelido dello stare di Latini e dell’impianto scenico (come, ad esempio, il cerchio di luce fredda che a tratti annulla e fa sparire nel buio tutto il resto), trovano motivazione: “Tu come faresti? Morirei, se non fossi già morto” è probabilmente il passaggio che meglio sintetizza questa riflessione.
Amleto + Die Fortinbrasmachine è una macchina complessa e intellettuale che concede poco all’agitarsi delle emozioni: ma quando lo fa, attraverso il dire innocente e crudo di Ofelia o il monologo dell’essere o non essere di Amleto, “nudo”, scarnificato da ogni possibile orpello, lascia un segno. Where is the sight? Dov’è il segno? È la domanda, nel bene e nel male, che ci lascia Roberto Latini.
Visto il 29 gennaio 2017 al MTM Manifatture Teatrali Milanesi – Teatro Litta (Milano)
Isabella Dilavello