“L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA” DI LAVIA AL CAMPLOY DI VERONA. RECENSIONE

Luomo-dal-fiore-in-bocca_10Approda a Verona, nel corso di una lunga e fortunata tournée, “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello, versione Gabriele Lavia che, per Fondazione Teatro della Toscana, dello spettacolo è regista e interprete. Viene proposto al Teatro Nuovo nell’ambito della rassegna “Il grande teatro”, organizzata dal Comune di Verona e dal Teatro Stabile del Veneto-Teatro Nazionale, con Unicredit quale main partner.

Atto unico, andato in scena per la prima volta nel 1923 a Roma, con il testo tratto integralmente dalla novella “Caffè notturno”, scritta da Pirandello nel 1918, “L’uomo dal fiore in bocca” ingloba, nella attuale edizione, interpolazioni da altre novelle dell’Autore siciliano incentrate sul delicato e tormentato rapporto tra marito e moglie. Con visione fortemente misogina, in questa operazione la donna diviene emblema di sciagura e addirittura morte; una “sciagura”, peraltro, ineludibile, come conclude il nostro protagonista.Luomo-dal-fiore_02

L’azione si ambienta non nel caffè di una stazione ferroviaria, come voleva Pirandello, ma nella sala d’attesa, tra assordante sferragliar di treni, roboante rumor di tuoni e lampi di temporale. Caratterizzano la sala un grande orologio che non scandisce il tempo, ed enormi vetrate attraverso le quali si vedono passare i convogli in corsa. Il luogo è vuoto, fatta eccezione per il protagonista e un piccolo uomo qualunque che ne diviene l’interlocutore, anche se per la verità non molto loquace, tutto intento com’è a cercare di prendere il suo treno, puntualmente fallendo nell’impresa. Al di là delle vetrate — unico altro protagonista di questo gioco di appuntamenti procrastinati o mancati – si aggira una misteriosa scura figura femminile, che pure chiaramente aspetta qualcuno o qualcosa. E’ forse la moglie dell’uomo dal fiore in bocca? Oppure è la Morte? Tale ambiente, volutamente senza vita e senza tempo (la scena è di Alessandro Camera) evoca immobili atmosfere metafisiche, con qualche tocco surreale di luci colorate (di Michelangelo Vitullo) nelle quali il moribondo dà sfogo alle sue filosofiche elucubrazioni, esistenziali e ferali. Gabriele Lavia, cogliendo l’occasione per una ennesima prova d’attore, mantiene la recitazione su registri antinaturalistici, con un uso, tra l’altro, quasi magico di una sorta di eco ottenuta con la ripetizione insistita di frasi o parole; non senza qualche pennellata piuttosto amara di comica ironia.

Luomo-dal-fiore-in-bocca_08Gli fa da contrappeso il bravo Michele Demaria, buffo e caricaturale, inserendo, inoltre, nel plumbeo e claustrofobico grigiore dell’insieme, la giusta componente dinamica, e un pizzico di colore con le tinte sgargianti dei suoi innumerevoli pacchi: impegni della vita quotidiana, che ti sommergono impedendoti di cogliere le vere occasioni del vivere, quelle che ti passano davanti e vanno perdute; come i treni mai presi.

Applausi scroscianti, e ripetute chiamate alla ribalta.

Franca Barbuggiani

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