“ANGELS” E IL TEATRO CINQUE DI MILANO A VILLA WASSERMANN

“Angels”: vite che si intrecciano, che si interrogano, che cercano di sfuggire al proprio destino drammatico. Sullo sfondo di un’ America degli anni ’80 tre coppie vivono le proprie problematiche di relazione confrontandosi. Incombono le colpe dell’omossessualità e della malattia, “aids” ma non solo, un diverso orientamento sessuale che s’intreccia con un diverso orientamento religioso, una malattia che corrode le relazioni dall’interno e che si mescola in modo subdolo ad una corruzione più esplicita, legata a privilegi di casta e potere, rappresentati dal facoltoso avvocato Roy Cohn.

La corruzione ( della salute e della società) è l’elemento costante, sospeso tra senso di sconfitta e di onnipotenza, così come nella coscienza dei protagonisti lo sono la morte e la vita.

Spetta ad “Angels”, liberamente ispirato a Angels in America di T. Kushner, co-produzione del Centro Studio Attori e Teatro Cinque di Milano in scena a Villa Wassermann il 23 agosto 2013, aprire la Rassegna “Amore… follia 2013 “di Giavera del Montello, ( TV) per la direzione artistica di Giovanni Cilluffo, che, presentando tanto la serata che la rassegna, alla presenza dell’Assessore alla Cultura di Giavera, sottolinea con forza la funzione del teatro: sociale e non di divertimento.

La Rassegna infatti, giunta alla sua 5 Edizione, si caratterizza, come sempre, per dare spazio e voce a quel filone di teatro e di teatro danza di ricerca, più attenta ai contenuti etici ed estetici che alla notorietà delle Compagnie presenti.

Ho pensato a questo testo” mi dice Irina Galli, regista dello spettacolo “Angels” “in chiave autobiografica, quando mi capitò che un gruppo di amici omosessuali furono licenziati perchè omosessuali”.

La piece è tutta giocata sulle ambivalenze, intorno al confine tra lecito e illecito, sogno e realtà, finzione e verità, in cui la” normalità” scompare per dare sostanza e voce al dubbio, al possibile, al non detto, in cui il principale pregio degli attori è l’interpretazione naturale, essenziale, senza fronzoli, ma ricca di significati e di umanità(- qui bisognerebbe spiegare la qualità di questa naturalezza,che nasconde un percorso tecnico attoriale di sensibilità, studio, profondità emotiva che nulla ha a che fare con ben altra presunta “ naturalezza incolta” di certe fiction televisive , in cui gli attori, nel porgersi con spontaneità svelano tutti i propri limiti e la propria impreparazione…)

La bellezza di questa messa in scena è l’alternarsi di testo e corpo, non solo un corpo che magnificamente danza in passaggi necessari e catalizzanti, ma un corpo che si esprime nel sorriso, nello sguardo, nel gesto ricco di sfumature e di rimandi interiori. Ecco allora che si rompono i ritmi imposti e precostituiti teatrali per dare vita ad un teatro vivo in cui la comunicazione tra gli attori diventa reale, credibile, capace di catturare l’attenzione senza ammiccamenti al pubblico.

Gli attori non usano microfoni per non alterare la loro naturale espressione” mi dice sempre la regista “ E’ una scelta non facile perchè sono consapevole del disagio nell’ascolto che si potrebbe creare soprattutto in spazi non piccolissimi. Per sopperire a questo ci vuole una grande esperienza attoriale come quella di Alessandro Del Bianco”.

Concordiamo nella magistrale interpretazione di Alessandro Del Bianco, esperto e navigato attore, nella parte di Roy Cohn, e del suo studio quasi maniacale del personaggio fin nei più piccoli dettagli. Nulla è lasciato al caso, ricca la gestualità piena di sfaccettature e la padronanza mimica: da premio.

Ma non sono da sottovalutare nemmeno gli altri bravi attori giovani del cast che elenchiamo : Margherita Dello Sbarba, Gabriele Colombo, Alice Bombi e Olivia Gelisio, mentre emergono per rara capacità espressiva i due attori della coppia omosessuale: Francesco d’Amelio nella parte di Prior Walter, capace di giocare con maestria sui contrasti repentini e Alessandro Lo Cacio nel ruolo di Joe Pitt, la cui recitazione “interiore” affascina per la naturalezza del detto e la ricchezza del“non detto” nelle pause, nei sorrisi e nella delicata morbidezza dei passaggi sensibili.

Nessuno degli attori è omosessuale” mi confessa sempre la regista. “ Essendo miei allievi sono orgogliosa del risultato. Non è facile interpretare una sessualità diversa perchè prima di tutto devi accettarla.”

Attorialmente doppiamente bravi, pensiamo.

L’unico appunto che potremmo fare di questa piece è a nostro avviso l’eccessiva lunghezza, un’ora e mezza, data la drammaticità del tema, per quanto abilmente mitigato da incursioni surreal-fantastiche, diluizioni introspettive profonde ma di tocco delicato, che vanno a coinvolgere le corde intimistiche e irrazionali dei protagonisti: un ritrovarsi con se stessi con una verità che diventa poesia.

Perdoniamo la lunghezza dopo aver saputo che il testo originale dura ben otto ore.

Emanuela Dal Pozzo

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