Una Stagione indubbiamente molto interessante sotto ogni profilo quella presentata dalla Fondazione Arena di Verona per celebrare degnamente il suo Centenario, evento importantissimo per la storia del teatro in musica. Infatti un secolo fa un gruppo di uomini di teatro (il tenore Giovanni Zenatello, l’impresario Ottone Rovato, il M°Tullio Serafin e lo scenorafo Ettore Fagiuoli) ebbero l’intuizione di unire in un unico abbraccio musica ed arte per donarle e renderle accessibili e comprensibili a tutti.
Infatti è bene ricordare che gli spettacoli areniani non nacquero e non crebbero per accogliere pochi e rigorosissimi musicologi (basta guardare le foto dell’epoca) bensì per trasmettere alla gente comune il melodramma attraverso la sua matrice più semplice e popolare. Su questa dichiarazione d’intenti nonchè sulla sua presunta superficialità, si è sempre scritto e si è sempre disquisito e l’acceso dibattito tra chi ama incondizionatamente l’anfiteatro, volto a palcoscenico, e chi non ne sopporta , comunque ed in ogni caso, l’esagerazioni scenografiche, procede tutt’oggi con altri temi ma ritengo i medesimi toni.
Sicuramente sono dell’opinione, così come sosteneva Toscanini, che all’aperto bisognerebbe giocare a bocce in quanto sempre e comunque la teatralità di qualsiasi partitura in musica ( ma anche in prosa) viene dispersa nello spazio aperto perdendo, in parte, profondità drammatica ed espressiva ma, ciò nonostante, ritengo che l’arena, proprio in quanto ricca
di una teatralità innata sia un ‘eccezione felice, ammesso e non concesso che non la si voglia far diventare ciò che non è.
Ma che cosa è l’arena e cosa non dovrebbe essere?
L’arena è un meraviglioso monumento del nostro glorioso passato in grado di accogliere spettatori da ogni parte del mondo, un unico crogiuolo di passioni e mondi differenti che riunisce ogni cultura e razza e proprio da ciò nasce il suo particolarissimo carisma e la sua attrattiva rispetto ad altri, pur rispettabili, teatri all’aperto. É un luogo in cui anche le condizioni metereologiche avverse o meno fanno parte molto spesso dello spettacolo ( e chi ha assistito alla Messa da Requiem quest’estate può perfettamente capire cosa intendo) e dove la comunicazione teatrale può spaziare liberamente cercando di colpire ed afferrare giovani ed incuriosite menti trattenendole per sempre. E’ il luogo della sperimentazione teatrale, della sfida, della comunicazione. E’ un luogo per riflettere, imparare, gioire o protestare e potrebbe diventare, nella sua accezione più alta, una moderna ‘agorà’.
Quello che invece l’arena non è dovrebbe essere evidente a tutti ma sembra non essere così chiaro: non è un contenitore alla moda dove osservare confezionati e lussuosi allestimenti, non è il luogo in cui ostentare la propria cultura né la propria posizione sociale , non è il regno delle parole vane, dei sorrisi forzati nè delle barriere e delle chiusure. Non è un punto d’intrattenimento per turisti annoiati e stanchi né il punto di ritrovo per tour aziendali o la serata conclusiva di patinati congressi …. l’arena non è questo o, se vogliamo, non dovrebbe essere solo questo.
Dopo questa necessaria premessa, che non ha altro scopo se non quello di far riflettere sull’importanza di ogni spazio scenico e sulla propria particolare funzione, occorre sottolineare il fatto che la Stagione areniana di quest’anno ha in parte centrato l’obiettivo che si era posta. Si è mantenuta infatti su di un livello artistico medio combinando spettacoli con una valenza spettacolare molto elevata pur mantenendosi teatrale (la nuova Aida dei registi de “La fura del Baus”) con altri in cui l’intelligente e sapiente miscela tra modernità e tradizione veniva giocata con grande professionismo registico (“La traviata” di Hugo de Ana) concludendosi con allestimenti che, risolvendosi nella tradizione fine a se stessa , a tutt’oggi forse mostravano un po’ la corda (I Atto di Rigoletto e Nabucco) . Una soluzione andrebbe forse cercata attraverso la scelta di allestimenti che ripropongano o una scenotecnica raffinata e furbescamente coinvolgente come quella di Francesco Micheli nel “Romeo et Juliette” o una ‘tradizione’ davvero restituita attraverso il decoro e la cura per il dettaglio non polveroso ma filologico (III Atto di Rigoletto e Aida del 1913 sapientemente rinfrescata e rinnovata) .
In questo senso la decisione (anche se certamente dettata da motivazioni più economiche che teatrali) di mantenere per il prossimo anno le due ‘Aide’ affiancate e complici risulterebbe tatticamente furba e giusta per la situazione attuale.Non concedendo più tanto spazio ad elaborazioni concettuali ma guardando più concretamente a bilanci ed entrate, l’una soddisferebbe infatti gli amanti della tradizione mentre la seconda potrebbe essere più gradita ad un pubblico giovane o comunque abituato a considerare il melodramma atto di teatro di per se stesso, quale infatti è, con l’obiettivo finale di ampliarne il raggio d’utenza.
La scelta dei cast che si sono alternati negli spettacoli, pur non brillando fregiandosi dei grandi nomi dello star system internazionale (che certo un evento di tale portata avrebbe comunque meritato) si è però sufficientemente districato presentando una schiera di sapienti professionisti che , chi più chi meno, hanno tramesso al pubblico la loro arte e la loro passione. Certo, a parte poche eccezioni ( il trascinante carisma di Leo Nucci) sono mancati in arena i palpiti , le emozioni ed il trascinante entusiasmo che, fino a non troppo tempo fa, infiammavano le gradinate costringendo i cantanti ad interminabili attraversamenti per raggiungere le ‘ali’ calde dell’anfiteatro , ma, mi sto domandando, se in fondo questo vasto ed antico cuore che tutto raccoglie non sia davvero, più di qualsiasi altra cosa, un abbacinante e sensibile strumento che rimbalza all’esterno solo l’immagine di ciò che sembriamo essere ormai diventati e, ingrandendoci, ci sgrana nei tratti distintivi … spero ardentemente che sia così e che ciò che appare sia solo un’ombra illusoria perchè solo con l’autentica passione, il coinvolgimento e la partecipazione di un pubblico entusiasta ed allargato l’arena potrà vivere e proseguire il suo fantasmagorico viaggio magari per altri cent’anni e, noi che l’amiamo, ce l’auguriamo!
Silvia Campana