La Rassegna di San Giovanni Lupatoto ( VR) Sangiò 2017 Art Festival si è aperta mercoledì 21 giugno nel Parco della Pia Opera Ciccarelli con lo spettacolo “ Il vecchio Principe” per la bella regia di Cesar Brie. Uno spazio quanto mai indovinato per promuovere il “ benessere” e il “far comunità”, intenti chiaramente espressi e per nulla scontati oggi, nell’efficace e concreto intervento introduttivo del sindaco di San Giovanni Lupatoto Attilio Gastaldello, cui auguriamo longeva e illuminata amministrazione, viste le premesse.
Uno spazio particolarmente indovinato quello del Parco della Pia Opera, visti i contenuti dello spettacolo, liberamente ispirato all’opera di Saint Euxpery, che ha affrontato in un variopinto intreccio dal sapore ecologico temi come la vecchiaia, il deperimento fisico e mentale, la follia, la morte, il senso della vita, la meraviglia, la speranza, la percezione personale dello scorrere del tempo, il mistero dei percorsi della mente, la comunicazione nell’apparente incomunicabilità, più adatto ad adulti che bambini e che in questo caso ha visto molti pazienti della struttura sanitaria tra il pubblico del teatro all’aperto.
Bravi i tre attori in scena del Teatro Presente: Manuela de Meo, Pietro Trialdi e Daniele Cavone Felicioni, calibrati nei personaggi densi di significati; minuzioso il lavoro sui caratteri senza sbavature, sullo studio delle loro posture, delle loro camminate, precisa la recitazione, efficace senza ridondanze. Perchè vale la pena in questo spettacolo più che sui contenuti, soffermarsi sulle modalità.
Non è frequente la capacità di far lievitare scene, di far respirare lo spazio, conducendo con leggerezza e al contempo arrivare “ di pancia”: una complessità che non significa difficoltà o pesantezza, piuttosto profondità, riflessione, intreccio di trame e contesti che sappiamo riconoscere immediatamente perchè ci riguardano da vicino.
Molto bello il lavoro di regia sulle direzioni, che aprono verso percorsi possibili, dall’interno della mente verso l’esterno, oltre lo spazio scenico, verso un punto imprecisato molto più in là dell’interlocutore medium, che fa da ponte comunicativo verso il fututo, anche quando il futuro prevede il passaggio della morte.
Così nello spettacolo le immagini di Saint Euxpery possono diventare i possibili mondi, i passi della conoscenza, le metafore della vita, vie di salvezza capaci di superare la finitezza dei confini del proprio corpo malato e limitato verso la natura e l’infinito.
Si riconoscono i tratti distintivi della poetica di questo importante regista che ha fatto del teatro un “modus vivendi”, del palcoscenico uno spazio senza confini, della presenza scenica dell’attore una percussione che rimanda a qualcos’altro, del testo una riflessione sui conflitti, degli oggetti di scena un tramite metaforico, ma soprattutto della comunicazione interiore ed esteriore un obiettivo primario.
Si riconosce anche una tensione, particolarmente in questo come negli ultimi suoi progetti teatrali, verso risposte esistenziali di largo respiro su “ chi siamo”, “ dove andiamo”, un’interrogarsi intimamente sul senso della vita, un guardarsi indietro, un allenamento all’amicizia con la morte.
E ci piace che questa profondità di Brie, non solo sui contenuti piuttosto di natura etica ed estetica c della quale è ricco questo suo particolare modo di lavorare, sempre alla ricerca di soluzioni scenico registiche semplici, originali eppur complesse, che ne fanno la sua cifra, venga così tramandata a giovani generazioni di attori, in un passaggio di testimone quanto mai utile oggi, mentre navighiamo al buio sempre meno rincuorati dai vecchi maestri.
Emanuela Dal Pozzo