Sardegna, Soreni, anni ’50; Maria Listru, ultima di quattro figli, viene ceduta dalla madre a Tzia Bonaria Urrai come “fill e anima”. Da lei impara l’utile arte di cucire le asole, con il tacito accordo di prendersi cura della donna, una volta anziana, e diventarne l’unica erede. Riservata, sempre vestita di nero, ogni tanto la notte Tzia Urrai si allontana da casa per alcune ore, chiamata d’urgenza da qualche compaesano. Il motivo di tali assenze rimane a lungo sconosciuto alla bambina fino a quando, crescendo, viene a scoprire che la sua seconda mamma svolge l’attività di accabadora.. Agli occhi della piccola comunità la donna viene rispettata come “l’ultima madre”, come lo spirito amorevole che aiuta il destino a compiersi. Sconvolta dalla rivelazione, la giovane lascia il paese per andare a lavorare nel continente, ma dopo qualche anno è costretta a fare ritorno: Bonaria è gravemente malata e per più di un anno le fa assistenza. Un epilogo inaspettato chiude il romanzo, attendendo dietro l’angolo il lettore con un colpo di scena. “L’accabadora”, pubblicato da Einaudi nel 2009, è un romanzo di Michela Murgia, già autrice di altri testi tra cui “Il mondo deve sapere”, che ha ispirato il film di Paolo Virzì. Sono due i temi affrontati nel libro: l’adozione e l’eutanasia, anche se presentati sotto una veste insolita. Non ci sono norme che regolano queste pratiche in un piccolo paese di provincia, se non la necessità di sopravvivenza e il bisogno di porre fine alla sofferenza. L’autrice tratta argomenti di tale complessità con grande coraggio narrativo forse perché, come lei stessa ha più volte rivelato, sono in parte attinti dal suo vissuto personale. In alcune pagine ricorre all’uso di uno stile aspro ed essenziale, in altre si orienta verso scelte più poetiche e delicate. Il lessico è chiaro e semplice quanto la condizione sociale in cui affondano i suoi personaggi. La lettura è molto coinvolgente soprattutto per l’alone di mistero che avvolge l’esistenza di Tzia Bonaria, le sue fughe notturne e il suo nascondersi dietro una maschera di silenzio e di ambiguità: non è il peso del rimorso che la isola, ma la consapevolezza di serbare dentro di sé un segreto cosmico.
Daniela Marani