KAEMMERLE E IL FESTIVAL
Coraggiosa la sfida di Andrea Kaemmerle, nella conduzione del Festival di Volterra Teatro 2017, progetto sostenuto e finanziato dai Comuni di Volterra, Pomarance, Montecatini e Castelnuovo Val di Cecina, Regione Toscana, improvvisamente abbandonato dal precedente direttore artistico Armando Punzo, nella incredibile ristrettezza dei tempi tecnici per organizzarlo: meno di un mese.
La stessa ristrettezza che sembra essere la motivazione principale della rinuncia di Punzo, dopo una conduzione pluriennale e che per le stesse ragioni avrebbe indotto qualsiasi serio professionista a non assumersi il gravoso compito di dirigere un Festival, peraltro di nota eredità, con tutto ciò che questo avrebbe comportato, sia sul piano ideativo ( motivazioni, urgenze artistiche, scelte di fondo), che sul piano organizzativo: pianificazione degli eventi, ricerca delle Compagnie e degli ospiti illustri da invitare, allestimento del calendario, organizzazione logistica degli spazi, ufficio stampa e aspetti comunicativi e pubblicitari conseguenti, non ultimi gli adempimenti legati alla sicurezza ( il comune lo ha delegato anche in questo) : il tutto per un budget di 29.500 euro con il quale l’attore/regista e direttore artistico in questione avrebbe vinto il Bando.
“ Mai mi sarei permesso di scavalcare Punzo nella conduzione del Festival” mi dice Kaemmerle “ se non avessi saputo da egli stesso che non si sarebbe presentato tra i candidati al bando”.
Nasce così spontaneamente una chiacchierata intervista con Andrea Kaemmerle:
In un certo senso ti trovi quasi “per caso” a condurre questo Festival
Per caso no. Questo è un territorio che conosco bene. Mi ci muovo da più di 20 anni con i miei spettacoli, la Compagnia e da alcuni anni “Utopia del buongusto”, una rassegna di spettacoli legati al tema della comicità ma non solo. Diciamo invece che questa opportunità mi è arrivata imprevista, mentre ero già impegnato con spettacoli e contratti da garantire per “Utopia” tuttora in corso. Ma sono abituato a ritmi frenetici e ritengo che le cose che accadono vadano prese al volo, senza troppo pensarci, come faccio spesso.
Quindi vista l’immediatezza della partenza del Festival e la limitatezza del budget hai utilizzato le risorse del territorio locale per allestire il calendario degli eventi.
Per nulla. Entrambe le Compagnie in programmazione per oggi ad esempio non sono toscane: né il duo Riccardo Goretti e Edoardo Nardin né le Sorelle Marinetti. Diciamo che ho cercato di contenere le spese al minimo indispensabile, lo strettissimo necessario, pagando tutti certo, ma sacrificando alcune agevolazioni presenti in altri festival, come garanzie di ospitalità, accoglienza della stampa e gadget.
Come hai fatto quindi in così poco tempo a preparare un calendario e a scegliere i protagonisti del Festival?
Ringraziando la rete di relazioni intessute in 30 anni di teatro che mi ha permesso di invitare Compagnie che già conosco e che quindi so come lavorano e maestri /pilastri della storia del nostro teatro, capaci di condensare le proprie esperienze artistiche e la propria ricerca teatrale in spaccati di vita ricchi di storia, di tradizione e di poesia teatrale come Masolino D’Amico , Ives Lebreton e Alessandro Schwed, capaci di offrire sguardi da angolazioni diverse: incontri/intervista aperti al pubblico, coordinati dal critico cinematografico Augusto Sainati. Ovviamente la scelta è stata determinata anche dai contenuti che volevo affrontare, in sintonia con la scelta di un teatro comico che mi appartiene. Per questa ragione ho intitolato questo breve ciclo di tre incontri “Tre strade lunghe 40 anni in direzione ironia, satira, comicità.”
Se tu dovessi continuare a dirigere questo festival anche nei prossimi anni, quali sarebbero le cose che ti caratterizzerebbero?
Il “se” è d’obbligo perché se Punzo esprimesse l’intenzione di ritornare io mi farei da parte. Se però rinnovassi l’impegno con l’amministrazione comunale certamente cercherei di moltiplicare gli eventi all’aperto. Al chiuso bisogna in un certo senso “suonare il campanello” per entrare e non lo ritengo il massimo per un festival che si rivolge al territorio ed estivo.
La conversazione prosegue in forma più di scambio di opinioni sul teatro contemporaneo, sulla penalizzazione che sembra avere il teatro comico in certi ambienti, sull’importanza della scelta dello spazio scenico in funzione della tipologia dello spettacolo, sulla trasformazione che nel tempo hanno avuto alcuni festival anche snaturando le radici originarie. Ne esco con la consapevolezza che la strada intrapresa, controcorrente con quella precedente se non altro per la scelta di ambito, non sarà facile e che per superare pregiudizi e diffidenze Kaemmerle dovrà focalizzare bene il nucleo centrale dei prossimi festival, le idee spinta guida, ed assecondarle con coerenza nella scelta dei contenuti, sempre con uno sguardo allargato oltre il territorio contingente ( la toscana e l’Italia), privilegiando la qualità alla quantità.
Dovrà anche armarsi di grinta per difendere la propria linea che inevitabilmente troverà sostenitori e denigratori, senza lasciarsi influenzare da pressioni, ricatti o strumentalizzazioni, combattendo in primis l’evidente disinteresse di una amministrazione “assente” sia sul piano collaborativo ( com’è possibile che il referente comunale del Festival di Volterra durante lo svolgimento del Festival sia in ferie?) che sul piano economico ( sempre più risicata negli anni la cifra messa a disposizione).
A mio avviso, più che la scelta d’ambito in teatro nell’organizzazione di un Festival valgono, contrariamente a ciò che tanti pensano, la forza ideativa della direzione artistica, conseguenza diretta della forza motivazionale, che andrebbe perseguita con coerenza, indipendentemente dall’ambito scelto: teatro comico o drammatico, classico o contemporaneo, di figura o di strada. Ho personalmente visto cose belle, complesse, interessanti e stimolanti e altre mal condotte o qualitativamente discutibili in ognuno di questi ambiti.
Nessuno potrebbe fare meglio nell’ambito che gli è proprio, di una persona motivata ed intellettualmente onesta.
Al contrario non c’è nulla di più culturalmente mortifero che organizzare un festival pensando ad un minestrone di tutto un po’ “per accontentare tutti i gusti del pubblico” con la giustificazione che vengono amministrati soldi pubblici, sostanzialmente per due ragioni fondamentali: 1- La qualità ripaga sempre e anche se non compresa, desta curiosità e attenzione 2- Il concorso alla formazione culturale della cittadinanza, attraverso proposte stimolanti ed intelligenti, dovrebbe essere un impegno/ responsabilità di chi governa che demanda questo compito agli esperti di settore, i quali dovrebbero esercitare in autonomia le proprie scelte artistiche, senza pressioni di alcun tipo. Utopia? Paradossalmente ( ma è anche facilmente comprensibile) è più facile che questo accada nei festival minori, che la qualità ( quando c’è) traspaia maggiormente nelle piccole produzioni indipendenti, lontano dai grandi riflettori e dai vari poteri pronti ad intervenire per assecondare i propri fini.
Se Kaemmerle ci riuscisse, credendo nello spessore culturale che ha dimostrato d’avere anche nelle scelte di fondo di questo festival, indipendentemente dagli esiti dei singoli spettacoli dei quali si è solo parzialmente responsabili, potrebbe nascere qualcosa di buono, di onesto, segnando un’inversione di tendenza ad un teatro sempre più solipsistico e autoreferenziale o sempre più lontano dagli spettatori e dal dialogo democratico che potrebbe scaturirne.
GLI ASSI PORTANTI DEL FESTIVAL E GLI SPETTACOLI TEATRALI DEL 26 LUGLIO 2017
Se appare come “poco felice” dal mio punto di vista il titolo di questo Festival “ Tutto il possibile”, titolo forse dal sapore ironico, ma che si presta ad una molteplicità di interpretazioni : “ ho fatto quello che potevo date le condizioni”, “ c’è di tutto un po’” o al contrario “ c’è il top del top”, più interessante è apparso il programma che del comico ha cercato di trarre la parte più profonda, più problematica e più indagatrice. Soprattutto i tre incontri con Masolino D’Amico, “Dalla commedia all’italiana al clown”, Ives Lebreton “ La comicità nella tragedia, 50 anni di viaggio nel teatro con un grande maestro”e Alessandro Schwed “L’avventura di Jiga Melik da Il Male alla scrittura scenica”, coordinati dalla sapiente presenza del critico cinematografico Augusto Sainati, hanno restituito spessore ad un Festival che avrebbe potuto essere “leggero” e “arrangiato”, assecondando i pregiudizi che vorrebbero il comico relegato al puro divertimento e ad assenza di pensiero, ad una sorta di teatro di seconda categoria/ intrattenimento.
Noi di Traiettorie eravamo presenti all’incontro con Ives Lebreton del 26 luglio, una testimonianza talmente ricca di spunti di riflessione, di “direzioni lanciate”, di “squarci dell’animo” e di profondità filosofiche, dal comprendere quanto possa essere complesso, variegato e stimolante il tema, non solo come conoscenza ed approfondimento sul lavoro dell’attore ( pare che oggi non sia più così importante), ma anche per almeno altre due tematiche molto dibattute oggi: il rapporto attore/spettatore con il conseguente rapporto teatro/società anche in chiave politica in senso lato.
In particolare il dibattito scaturito ha permesso di approfondire i tanti aspetti della risata: come potere liberatorio, come sorpresa, come rinascita in un’amnesia momentanea del sé, come apertura degli orizzonti oltre le convenzioni, come un tornare bambini, come “immaginazione al potere” e utopia, come un uscire dionisiaco dalle regole e come poesia, riconoscendo quindi nella comicità sia un potenziale rivoluzionario, sia un antidoto contro il narcisismo attraverso l’ironia e l’esercizio dell’autoironia.
Tra gli spettacoli in programma, che spaziano dalle proposte di nomi noti toscani come quello del livornese Michele Crestacci e contaminazioni sempre del territorio tra teatro e musica ( non manca nemmeno la street band in chiave femminile “girlesque”), fino alle “Marionetas Colegones” spagnole, abbiamo visto i due spettacoli del 26 luglio “Topolini, mici e pinguini innamorati” delle Sorelle Marinetti e “Vero su bianco- disegni sussurrati per parole su tela del duo Riccardo Goretti e Edoardo Nardin.
Deludente il primo nel quale i tre attori Nicola Olivieri ( Turbina), Marco Lugli (Scintilla) e Matteo Minerva (Elica), oltre l’aderenza al proprio personaggio hanno offerto poco: uno statico revival di canzonette anni ’30 e ’40, privo di mordente, di relazioni significative, ricco di banalità e tentativi di coinvolgimento diretto degli spettatori, incapaci di generare empatia.
Spunti più interessanti nella performance successiva, giocata intelligentemente nello spazio raccolto del Foyer del Teatro Persi Flacco Augusto, da subito capace di catturare gli spettatori con la giusta atmosfera, grazie ai disegni dal vivo di Edoardo Nardin, dallo spazio scenico al corpo degli spettatori e alla scelta di letture accattivanti, seppur poco note, interpretate da Riccardo Goretti: un salotto letterario interattivo caldo ed accogliente, un sentirsi a casa. Si intuisce l’amore per il libro e il desiderio di renderlo vivo, quasi scelta controcorrente oggi. Avvolgenti e penetranti i racconti di Goretti, rispettose e non invadenti le proposte grafiche di Nardin, fino a buona parte della performance, poi lungaggini ed eccessi incrinano l’equilibrio e la magia va a scemare.
Emanuela Dal Pozzo