E un senso di liberazione mi ha raggiunta quando ho guadagnato l’uscita del Teatro Olimpico prima della fine dello spettacolo- concerto “Not history’s bones- a poetry concert”, in scena la sera del 25 ottobre 2013, a conclusione del Convegno Teatro/ Catarsi: scelta di opposizione ad una costrizione che mi vedeva passiva fruitrice di un evento incapace di comunicarmi emozioni. ( Poi ho saputo che non sono stata la sola ad abbandonare il Teatro, né a rimanere delusa da aspettative tradite)
Dieci gli attori/musicisti in scena, di diversa nazionalità, a occupare, sembrava con timidezza, uno spazio scenico ridotto, del già ridotto palcoscenico dell’Olimpico.
Peccato che invece il gruppo in questione sia nientemeno parte del Workcenter of Jerzy Grotowski and Thomas Richards, fondato dal regista polacco nel 1986 intorno al progetto denominato “Arte come veicolo”, non finalizzato agli spettacoli ( cita la presentazione), ma con questa formazione diretta da Mario Biagini, concentrato sulla poesia in musica di Allen Ginzsberg. Un concerto ideato dalla formazione e cantato in inglese, (e con una traduzione italiana distribuita agli spettatori) che avrebbe dovuto, secondo il mio personale parere, sia per le incisive affermazioni contenute che per le tematiche affrontate, avere un effetto dirompente sul pubblico, che, pur nel complesso plaudente, con chiara evidenza non c’è stato. Né mi è parsa convincente la presenza scenica degli attori, nonostante la piacevole multietnicità : Mario Biagini (Italia), Lloyd Bricken (USA), Robin Gentien (Francia), Agnieszka Kazimierszka (Polonia), Felicita Marcelli (Italia) Ophelie Leah Maxo (Francia), Luciano Mendes Jesus (Brasile), Alejandro Tomàs Rodriguez (Argentina) Grazele Sena de Silva (Brasile) Suellen Serlat ( Brasile) . Scialba anche nella complessiva coralità, a mio modesto parere controllata e sottotono, ( se fosse stata questa una scelta mi è parsa poco felice) nonostante l’individuale coinvolgimento di ciascuno degli artisti, peccato ripiegati troppo su se stessi. Come a dire che la personale e collettiva ricerca interiore della dimensione poetica non può prescindere dalla sua efficacacia comunicativa.
A confronto dopo con il regista Mario Biagini, per cercare di comprendere questo mio senso di frustrazione e di questa mancata comunicazione teatro/ spettatore ( almeno per me), perchè anche se non di teatro si tratta è comunque un palcoscenico con un pubblico, è emersa a giustificazione una probabile cattiva acustica del luogo, cui si potrebbe aggiungere forse anche una platea troppo grande per un concerto “ poetico” così intimista, che si indovinava anche di “verità” interpretativa. Probabilmente uno spazio più contenuto avrebbe messo in risalto ciò che qui a fatica si è percepito in termini di qualità e intensità.
Le perplessità su una esibizione nel complesso poco convincente rimangono, a contrastare una firma ,“Workcenter of Jerzy Grotowski” , che non ho dubbi troverà ovunque facile accoglienza e il cui lavoro” post grotowskiano” qui non mi è parso del tutto chiaro.
Emanuela Dal Pozzo