IL SETTEMBRE DELL’ACCADEMIA 2017 A VERONA.RECENSIONE

Ideale filo conduttore del Settembre dell’Accademia 2017, 26ma edizione del festival sinfonico organizzato dagli Accademici Filarmonici veronesi nel mese di settembre nella omonima sede teatrale accademica, è stata la voce del pianoforte, presente pressoché in tutti i concerti tenuti dalle varie orchestre.

Un autentico omaggio allo strumento, formalmente culminato in una serata a esso completamente dedicata, protagonista alla tastiera Alessandro Taverna in un eclettico programma che ha spaziato dall’Ottocento ai giorni nostri. Elegante ed espressivo, tecnica fluida e chiara, con preziose qualità di tocco che calibrano con misura sia le sonorità di massima estroversione sia quelle più introspettive e sognanti, Taverna ha esplorato i vari autori eseguiti con originale sensibilità. Particolare il taglio, asciutto e sognante ad un tempo, conferito ai vari brani chopiniani (2 Notturni, 1 Ballata, 1 Scherzo, oltre ai celebri “Grande Valse brillante” e “Andante spianato e grande polacca brillante”) evidenziati nei loro caratteri più innovativi e anticipatori di mondi musicali futuri. Così la ricerca strumentale in brani come quelli dei contemporanei Nikolai Kapustin (“n. 7 Intermezzo”, “n. 8 Finale” da “Otto studi da concerto”) e Friedrich Gulda (“n.1 Moderato”, “n. 9 Allegro, dolce”, “n. 5 Moderato poco mosso”, “n. 6 Presto possibile”, da “Play Piano Play”) e le variegate atmosfere dei brani di Gershwin (12 pezzi da “Songbook”, oltre alla celeberrima “Rhapsody in blue”) si sono ammantate di colti echi, senza, peraltro, perdere nulla in fresca immediatezza.

Altro momento di grande pianismo è stato offerto da Beatrice Rana nel “Concerto per pianoforte e orchestra n. 1” di Ciaikowski, offerto in perfetta intesa ed equilibrio di volumi sonori con l’Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, diretta da Yuri Temirkanov anche in “Sherazade” di Rimski-Korsakov.

Tocco vigoroso e liquida meccanica, grintosa e coinvolgente, Beatrice Rana pennella il suono di moderne “nuance”, prendendosi inoltre talora qualche gradevole piccola libertà ritmica. Strepitoso, meritato successo, unitamente a direttore e orchestra. Questi ultimi, peraltro, non proprio, ci è sembrato, all’altezza della rispettiva fama, che li pone ai vertici degli standard mondiali.

Un po’ deludente anche l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, in una prestazione di buon livello professionale, ma non sempre impeccabile né, tanto meno, di eccellenza quale ci si sarebbe potuto aspettare. Guidata da Semyon Bychkov, direttore spesso senza bacchetta e gesto arabescato, e con Kirill Gerstein quale solista nel “Concerto per pianoforte e orchestra n. 2” di Rachmaninov, ha dato vita a una serata tutta russa, comprendente anche la “Sinfonia n. 4” di Ciaikowski; quasi un’ ideale prosecuzione del precedente appuntamento.

Performance non particolarmente entusiasmante, nella quale direttore e solista sono sembrati soprattutto interessati alla ricerca e alla sottolineatura delle componenti formali delle pagine in programma; in grande eleganza e precisione sì, ma senza afflati emozionali.

Grandi emozioni sono state invece elargite dalla Philharmonia Orchestra di Londra in un concerto memorabile. Principale protagonista, nella prima parte del programma, la musica di Jean Sibelius. Nella direzione del finnico Esa-Pekka Salonen, l’autore finlandese è stato riscoperto nei suoi aspetti più attuali e, soprattutto, in quello “straniamento magico” che lo caratterizza inequivocabilmente. “Straniamento” magistralmente emerso, dopo una raccolta e pensosa esecuzione de “La mort de Mélisande” (da “Pelléas et Mélisande”) nella “Sinfonia n. 6”, dove la compagine londinese ha espresso al top straordinarie qualità strumentali, con porgere elegante ed espressivo, musicalissimo. Da Sibelius a Beethoven, quello della “Sinfonia n. 3”, l’Eroica.

Un Beethoven porto fuor di retorica, maestoso e dolente, raffinato e delicato, compostamente essenziale anche nei momenti più rapinosi e travolgenti. Come travolgente è stato il successo di pubblico per la strepitosa abbinata di un grande Salonen e una grande Philharmonia Orchestra.

Chiusura di gran classe del festival con la Camerata Salzburg. Fondata nel 1952 dal Presidente del Festival di Salisburgo e Rettore del Mozarteum, Bernhard Paumgartner, l’interesse primario incentrato su Mozart si è andato ampliando negli anni fino a includere autori dell’epoca romantica e moderna, sia di ambito operistico sia di ambito sinfonico. Per l’occasione, la Camerata si è ispirata alle proprie origini, impegnandosi in un “tutto Mozart” di “sinfonie” e “concerti” ripercorso per tappe significative del suo iter stilistico e ispirativo. Scelte, in apertura e chiusura di serata, la “Sinfonia n. 28” e la “Sinfonia n. 29”: la prima ancora molto legata a modi precedenti, la seconda già aperta alle innovazioni avanzanti. Due eleganti e impeccabili offerte, rese su strumenti moderni ma con la memoria storica degli esecutori stanti rigorosamente in piedi e guidati dal violino principale, quando le imponenti formazioni ottocentesche necessitanti di un direttore erano ancora di là da venire.

Nel cuore del programma, due concerti per pianoforte e orchestra, il “n. 12” e il “n. 14”, solista alla tastiera Kristian Bezuidenhout.

Noto per le eclettiche qualità che lo mettono a proprio agio sia al fortepiano, sia al clavicembalo, sia al pianoforte, Bezuidenhout, porgere preciso e sensibile, ha mirabilmente evidenziato le specifiche mutanti peculiarità tecniche e sonore dello strumento, oltre che le diverse atmosfere delle due pagine eseguite; dirigendo, inoltre, a sua volta dalla tastiera la impeccabile e raffinatissima compagine salisburghese. Una serata per palati esigenti, adeguatamente apprezzata dal pubblico folto e attento del Filarmonico.

Nell’ambito del festival, ha inoltre ottenuto un notevole successo personale il ventunenne coreano (vincitore del Concorso Chopin di Varsavia nel 2015, che gli ha procurato già importanti incisioni discografiche) Seong–Jin Cho. Splendido solista nel “Secondo concerto per pianoforte in fa min.” di Chopin (con l’Orchestra dell’Arena diretta dal francese Julien Masmondet anche in Dvorak, “Nona Sinfonia”, e nel famosissimo “Adagio per archi” di Barber) ha strabiliato per le straordinarie qualità virtuosistiche e doti musicali eccezionali, che ne fanno già molto più di una promessa.

Franca Barbuggiani

condividi questo articolo:
SOCIALICON