E’ un importante appuntamento annuale la mostra di fotografie alla Corte Torcolo di Cavaion veronese di Paul Crespel, quest’anno aperta dalle 10 alle 20 del 30 novembre e 1 dicembre 2013. L’autore, di origine bretone e da alcuni anni residente a Cavaion, famoso negli anni ’70 per i suoi servizi fotografici e i suoi scoop esclusivi sulle prime pagine dei quotidiani più quotati, oggi si dedica alle fotografie di strada, raccolte per l’occasione di questa mostra, in un volume dal titolo “Gotcha. Street Photography” di Paul Crespel.
Inoltre sulle immagini della mostra si sviluppa un percorso di Scrittura Creativa ideato e condotto da Maria Cristina Toffalori svolto in due incontri: il primo dedicato alla descrizione, il secondo alla narrazione.
Aldilà delle interessanti fotografie esposte, che ritraggono momenti di vita attuale presi principalmente nelle vie di Verona e Milano, e che ci offrono uno spaccato del nostro tempo, alcune inducendo a qualche riflessione, è piacevole parlare con Paul Crespel, quando ci rivela le sue profonde motivazioni: lasciare ai posteri una documentazione della vita di oggi.
Per questa ragione il fotografo sta costituendo un archivio selezionato di fotografie da custodire fino a 50 anni dopo la sua morte, destinato alle generazioni future, che raccontino “come eravamo”.
Come è ormai mia abitudine gli chiedo cosa fa delle foto che scatta, quale il rapporto con la fotografia scattata e ancora una volta mi stupisco, per la diversissima” idea” che ciascun autore ha della fotografia.
Ti consideri un fotografo o un artista?
Assolutamente un tecnico, mai un artista. Il fotografo non è mai un artista. Di fatto ruba ciò che già esiste in realtà. Non è diverso da ciò che fa qualsiasi artigiano capace di usare i propri strumenti. Per questo mi fanno sorridere anche i fotografi che amano definirsi “professionisti”. Professionisti sono solo coloro che per definirsi tali hanno fatto un percorso di studio, superato degli esami. Nella fotografia tutto ciò non esiste. Io sono un artigiano. Quando scatto una foto mi sento “chiamato” E’ un sesto senso che devo assecondare. Imbraccio la mia macchina fotografica e scatto così come un soldato in guerra imbraccia il fucile e spara.
Ma non pensi che la selezione di una fotografia piuttosto che un’altra, il restringere il campo ad un dettaglio piuttosto che descriverne l’insieme, sia un atto creativo?
Sarebbe come dire che un dentista fa un atto creativo quando interviene su un dente piuttosto che su un altro. Ma a dirimere definitivamente la questione su fotografia e arte c’è la definizione più universalmente accettata sull’arte che dice: “ l’arte non deve servire a nulla”. E’ evidente che la fotografia è documentazione storica, quindi a qualcosa serve.
Tieni tutte le foto che scatti?E come le selezioni?
No. A volte le elimino tutte per ricominciare daccapo. Per fare una mostra, ad esempio come questa, prima di decidere di inserire un’immagine la capovolgo. Se anche capovolta mi suscita lo stesso interesse, allora la ritengo buona, diversamente la cancello definitivamente.
E dopo la mostra dove tieni le foto?
Le brucio. Le distruggo. Sono momenti di vita di persone che ho rubato e devo rispettare la loro privacy. Non potrei mai vendere ad altri l’intimità che le riguarda. Potrei solo darle ai soggetti fotografati, se me le chiedessero e avessi l’opportunità di incontrarli. Anche il catalogo che ho pubblicato in occasione di questa mostra “Gotcha” e che contiene molte più foto di quelle qui esposte, è in vendita si, ma a tiratura limitata. E nemmeno rifarò questa mostra in altro luogo. Ne faccio una solo qui, una volta all’anno, una sorta di dono al comune di Cavaion Veronese che mi ospita. Sto costituendo un archivio però, con rigorosa selezione di fotografie per le future generazioni. Oggi credo siano troppo recenti per potere essere apprezzate. Manca ancora il giusto distacco. A volte penso che gli italiani non amino le cose troppo vere e preferiscano alla crudezza della realtà una sua trasposizione sul piano fantastico.
Però mi pare che la mostra stia andando bene. Da dove vengono i visitatori?
Si, sono molto soddisfatto. Ho avuto quasi 1200 visite in due giorni, anche da altre città italiane.
Mi piace intrattenermi con i visitatori e scambiare opinioni con tutti. Ho già prenotato la sala per l’anno prossimo in cui prevedo di esporre con opere più “aggressive”.
Paul crede che una macchina fotografica sia la sola macchina al mondo capace di fermare il tempo.
Emanuela Dal Pozzo