Leggerezza, direi che in questa sola parola possa racchiudersi lo spirito di “Die lustige witwe” di Franz Lehár che ha inaugurato la Stagione 2017/2018 del Teatro Filarmonico di Verona come “La vedova allegra“ in piena sintonia con una linea artistica che sembra intenzionata a rimanere in una placida consuetudine, piuttosto che proporre qualcosa di diverso (ad esempio la versione in lingua originale), ma questa ormai risulta una precisa scelta e, condivisibile o meno, è comunque dichiarata.
Una partitura che vive di bollicine, verve, ironia e, forse più di altre ‘operette’, ricorda per brillantezza dei dialoghi e caratterizzazione dei personaggi alcune produzioni cinematografiche degli anni quaranta in cui l’eleganza si sposava alla raffinatezza di caratteri sbozzati a china.
Risulta dunque fondamentale in questo caso creare, attraverso un’attenta scelta del cast, una giostra di caratteri che abbinino la sicurezza musicale ad una disinvoltura scenica costantemente affiancata ad un recitato sempre scolpito e brioso . Questi elementi infatti, in questo tipo di teatro musicale nel quale il ‘fil rouge’ con il pubblico deve essere costantemente presente e continuo, spesso sono più importanti della stessa vocalità, pur centrale in particolari ruoli.
In questo caso la Fondazione ci ha riproposto ancora una volta la produzione di Gino Landi ( I edizione nel 2005 poi ripresa nel 2014 e qui da Federico Bertolani) che con gli anni ha certo perso parte della gaiezza e dell’eleganza che la caratterizzava per presentarsi sempre più simile ad un varietà televisivo con il quale condivide la superficialità dell’impostazione ( costumi) e la chiave teatrale (la statua vivente). Di positivo resta l’impostazione scenica, tradizionale ma snella, attraverso il suo gioco di siparietti che, se ben supportata da un cast artistico idoneo, avrebbe potuto portare i suoi bei risultati.
Diciamo invece che proprio sotto il profilo artistico le cose non si sono rivelate all’altezza delle aspettative e non tanto a causa di una carenza prettamente vocale o comunque tecnica quanto per una monotonia e ripetitività della recitazione che spegneva di fatto lo spirito della partitura privando di magnetica energia l’intera pièce.
Così Elisa Balbo nel ruolo di Hanna Glawari, pur cantando in modo sostanzialmente corretto per la sua vocalità, risultava assai lontana dall’altera ed elegante Vedova in cui sempre gli accenti devono giocare a rimpiattino con i gesti, tradendo quel miscuglio di classe e semplicità che da sempre ne caratterizza i tratti.
Meglio appariva la Valencienne di Desirée Rancatore che riusciva a ben impostare il carattere civettuolo e brillante del suo personaggio anche attraverso una vocalità sfumata e convincente quanto misurata e corretta.
Diverso il discorso per quanto riguarda il ruolo di Danilo cui Enrico Maria Marabelli dava un taglio assai poco significativo sia dal punto di vista prettamente vocale che recitativo.
Ben si comportava , pur con i limiti di una vocalità ancora acerba, il promettente Camille de Rossillon cui il tenore Giorgio Misseri dava giusto tono e sentimento.
Divertente la signorina Njegus presentataci da Marisa Laurito che, seppur un po’ appannata rispetto alla precedente edizione, risultava sempre accattivante e divertente andando a centrare pienamente il carattere estremamente arguto del personaggio.
Sostanzialmente a posto il resto del cast : Giovanni Romeo ( Barone Zeta), Francesco Paolo Vultaggio e Stefano Consolini (gustosissimi Cascada e St.Brioche), Daniele Piscopo ( Bogdanowitsch), Serena Muscariello (Sylviane), Andrea Cortese (irresistibile Kromow) , Lara Rotili (Olga), Nicola Ebau ( Pritschitsch) e Francesca Paola Geretto (Praškowia).
Anonima la direzione del M°Sergio Alapont alla guida dell’orchestra della Fondazione Arena a dimostrare, ancora una volta, quanto non sia il tempo a dare tono ad una rappresentazione ma piuttosto l’interpretazione dello stesso.
In questo contesto è sembrata a dir poco azzardata l’idea di mantenere l’inserimento nel III Atto della celeberrima sezione del balletto “Gaitè Parisienne” di J. Offenbach e M. Rosenthal.
Positivo invece l’impiego di danzatori, coordinati da Gaetano Petrosino, che avrebbero certo meritato una menzione sul programma di sala.
Buono il coro della Fondazione diretto dal M. Vito Lombardi.
Gran successo di pubblico e numerose chiamate ad artisti e Direttore … ça va sans dire!
Verona, 21/12/2017
Silvia Campana