E’ stata un’autentica boccata d’aria quella che si è respirata a Genova, in un pomeriggio di tardo Dicembre, in occasione di una replica pomeridiana di “Otello”, titolo presentato in cartellone dal Teatro Carlo Felice , nell’allestimento del Palau de Les Arts Reina Sofia di Valencia e questo per una summa eterogenea di fattori ed a prescindere dall’esito globale dello spettacolo stesso.
Non si assisteva, in realtà, a nulla di particolarmente geniale se non ad un lavoro ben ideato e studiato in ogni dettaglio, un’operazione concreta che presentava un allestimento interessante , spettacolare e moderno, conciliandolo con un cast adattissimo, dal punto di vista teatrale e musicale, alla partitura che doveva interpretare. Tutto qui ! Detto così sembra la più ingenua delle banalità ma, in concreto, risulta essere tutto tranne questo; proprio nella mancanza di armonia tra le diverse sezioni di uno spettacolo, si annida infatti ciò che costituisce una delle lacune più gravi del nostro attuale teatro musicale dove, troppo spesso, incontriamo certo ottimi registi , sofisticati cantanti ed ottimi direttori ma esaminati singolarmente; infatti, pur individualmente interessanti chi per intuizione , chi per schietta vocalità e chi per gesto o per dinamica, il loro essere artisti risulta appannaggio dell’individuo , completo in se stesso ma disarmonico nel rapporto dinamico e teatrale con il resto delle masse artistiche e spesso non per sua totale responsabilità.
Resta dunque davvero molto difficile creare uno spettacolo drammaticamente compatto, omogeneo ed armoniosamente condiviso tra le diverse peculiarità artistiche che possa, ammaliandolo, portare il pubblico a quell’entusiasmo che solo un forte coinvolgimento emozionale può dare e questo Otello vi è riuscito!
Detto questo, veniamo direttamente allo spettacolo.
Davide Livermore certamente è uomo che sa cosa significa teatro e lo comunica con estremo rigore : sa che teatro è passione e coinvolgimento ma nello stesso tempo lavoro d’equipe e di comunicazione, sa che senza una collaborazione fattiva tra le varie parti tutto cade e che senza l’attenzione ed il plauso del pubblico ( un’attenzione che, badate bene, può anche essere negativa a volte , ma che non può mai mancare) è inutile pianificare qualsiasi, pur ambizioso, progetto.
Ecco dunque che realizza, per questo Otello, una struttura in cui la fanno da padrone le strutture semplici ed evocative che, attraverso uno spazio scenico idealmente racchiuso entro un immaginario cilindro, richiama con la sua forma, gli spazi dei teatri classici ed elisabettiani in cui i quadri vengono suggeriti da semplici elementi ( la proiezione meravigliosa del I Atto che ci evoca il “Der fliegende Hollander” wagneriano così come i singolari e eclettici ‘veli’ che dividono le diverse scene ) e dove l’uso espressionistico del colore e la valenza spettacolare dell’uso della spazialità del corpo (Desdemona Atto IV ) è esso stesso efficace strumento di polarizzazione di attenzione e di pathos. Un palcoscenico, è evidente da subito , in cui i solisti si trovano bene e cosi gli artisti del coro , dove possono muoversi , interagire e materializzare il dramma con la loro stessa fisicità . Sembra poco importare un approfondimento reale nei caratteri dei personaggi, che risultano appena sbozzati dalla lettura registica e che emergeranno di fatto dalla partitura scolpiti dalla personale e viva teatralità degli interpreti, ma, frutto di una precisa scelta, rivolta più a leggere in modo lineare ed essenziale il dramma concentrandolo più su cosa si vede che su cosa si percepisce, ben si equilibra con l’insieme della pièce.
E proprio a questo proposito la felice scelta di una rosa di seri cantanti professionisti, molto attenti e musicalmente molto preparati ha avuto la meglio, confermando, ancor oggi, la totale centralità ed importanza della peculiarità artistica di ogni singolo interprete sul palcoscenico in quanto, in questo come nella maggior parte dei casi, nel bene o nel male, sono coloro che, alla fine, determinano veramente l’esito di una spettacolo d’opera, segnando la differenza tra un autentico trionfo ed un buon spettacolo .
Partendo dal ruolo del titolo, la notazione ‘teatrale’ è stata particolarmente significativa nell’interpretazione di Gregory Kunde in quanto la sua voce, scelta per il complesso carattere del moro, di certo non corrispondeva alle caratteristiche di vocalità drammatica che, sulla carta, la renderebbe più adatta al temibile ruolo, ma ne possedeva altresì tutte le potenzialità espressive che gli consentivano, di fatto, di affrontarlo con un’intensa introspezione che dava ampio e profondo spazio all’uso della parola e del fraseggio e questo, per cantare Verdi, è la base di tutto.
L’ Otello tratteggiato da Kunde è infatti assai poco epidermico e violento ma molto introspettivo, in netta contrapposizione con l’interpretazione di Carlos Alvarez che evidenzia uno Jago superficialmente sfrontato e “vincente”, con tutto il significato più attuale del termine.
La vocalità di Kunde, perfettamente centrata sul canto declamato ed emozionale del dettato verdiano quanto teatralmente efficacissima, trovava in Carlos Alvarez un partner di uguale forza. Il bravo baritono decideva di risolvere il ruolo del perfido alfiere sotto un profilo squisitamente epidermico, con una lettura cioè che trovava nel tratto più scoperto della malvagità una lettura particolarmente nuova. Uomo forte e sicuro agli occhi del moro, che si fida di lui oltre ogni logica razionale (“onesto Jago”) egli diventa per lui punto di riferimento e guida al punto da manipolarlo emozionalmente (e non è raro che ciò accada anche oggi a chi in un momento di difficoltà metta le proprie emozioni in mani altrui) portandolo alla sua totale rovina.
Certo distante dalla volontà verdiana, che esigeva per questo ruolo un cantante che riuscisse a veicolare una malvagità coperta, insinuante e subdola, il carattere tratteggiato da Alvarez coglie tuttavia nel segno evidenziando un ‘moderno sentire’ ed una spietatezza nel raggiungere il proprio obiettivo in netto contrasto con la debolezza dell’uomo Otello che, incantato dalla sua spavalda sicurezza, in netto contrasto con la sua fragilità emotiva, ne diventa chiavo, permettendogli di penetrare nella sua intimità più profonda facendola a pezzi. Alvarez è cantante raffinato dalla vocalità davvero rilevante, sicuro in tutta la tessitura e sorretto da una buona tecnica, canta con gusto e fraseggia sapientemente ed il ‘suo’ Jago , molto lontano dalla tradizione ma evidente e brutale nella sua violenza, nel suo complesso convince pienamente.
Maria Agresta d’altra parte non è da meno quando disegna il suo personaggio femminile lontano da ogni timor reverenziale ma schiantato dall’incomprensione nei confronti di un uomo che si rivela, dietro un ‘apparente forza, insicuro, pavido e violento. La sua vocalità è perfetta infatti nel cesellare il suo rapimento amoroso coinvolto poi da un turbamento che sfocia in dolore ed angoscia attraverso un uso del filato tecnicamente sorretto e corretto quanto teatralmente coinvolgente. La sua Desdemona è una donna forte dunque che cerca di opporsi , di comunicare ed anche di lottare con tutte le sue forze contro un marito, che la cecità della mente ha reso un folle, ma che, costretta a soccombere, ricorda, e molto da vicino, il destino di molte, troppo donne che, quasi ogni giorno ormai, sono vittima di un amore malato che nulla vuole se non affermare la sua forza ed il suo dominio attraverso l’annientamento della volontà altrui che, nei casi limite, sfocia in tragedia.
Un dramma moderno dunque che il M° Andrea Battistoni ha saputo , se non determinare, comunque ben assecondare con una lettura che specie nel III e IV Atto conosceva momenti di bell’espressività.
Professionale il Coro del Teatro Carlo Felice diretto dal M° Pablo Assante
Completavano il cast Manuel Pierattelli (Cassio), Naoyuki Okada (Roderigo), Seung Pil Choi (Lodovico), Claudio Ottino (Montano), Gian Piero Barattero (un araldo) e Valeria Sepe (Emilia).
Autentico successo dunque per questa bella produzione che, speriamo, voglia aprire, al Teatro Carlo Felice di Genova ed al suo appassionato e competente pubblico, un futuro artistico prospero ed artisticamente elevato.
Genova, 29/12/2013
SILVIA CAMPANA