I tempi cambiano a velocità esponenziali. Cambiano mestieri e saperi; cambiano le relazioni interpersonali, tra sessi e generazioni. All’origine, la moderna rivoluzione tecnologica e la grande fretta introdotta nella vita di tutti noi. Il tema ha ispirato Cristina Comencini — sceneggiatrice, regista cinematografica, autrice di romanzi e di drammaturgie – che dal suo lavoro “La scena”, del 2015, ha tratto per Enfi Teatro e Teatro Stabile del Veneto la pièce “Tempi Nuovi”, attualmente in tour per l’Italia.
Dal 10 al 15 aprile ha fatto tappa al Nuovo di Verona, dove noi l’abbiamo vista a chiusura della rassegna “Il Grande Teatro”.
L’atmosfera è satirica, ironica, comica e parodistica; e si ride. Ma la sostanza ci è sembrata molto amara. Alla fine, si esce riflettendo e domandandosi – con una punta, almeno da parte nostra, di nostalgia – se valori di spessore meritavano di essere sacrificati sull’altare della fretta (più che della velocità) e della superficialità (più che della sintesi). Progresso o regresso? Evoluzione o involuzione? O, addirittura, autodistruzione? Questi gli interrogativi che la Comencini, attenta osservatrice della nostra società e delle sue problematiche, pone, inquietanti, sotto l’apparente goliardica leggerezza della scrittura e della regia.
Di fatto, si rappresenta la distruzione di una famiglia tipo di cultura medio-alta (padre scrittore, madre giornalista) portatrice di saperi e “mestieri” privilegiatamente qualificati, al momento del confronto/scontro – sia pur con modalità soft, garbatamente borghesi — con la nuova generazione. Un figlio studente che ignora passaggi fondamentali della nostra storia, come la Resistenza, e una figlia che, alla vigilia del matrimonio, lascia il fidanzato quasi marito per unirsi a una compagna con la quale ha deciso di avere un figlio, concepito ricorrendo alla banca del seme.
Nello stravolgimento famigliare, chi era più “passatista”, come il padre Giuseppe, diverrà addirittura più “dipendente” degli altri dalla vincente tecnologia: il vituperato telefonino e il web; mentre dalla scena, di Paola Comencini, i numerosi libri (simbolo di una ricerca approfondita e “senza fretta”) con i quali egli viveva pressoché in simbiosi, significativamente scompaiono fino all’ultima pagina.
Giuseppe si dichiarerà, inoltre, felicemente nonno di un nipotino che, per padre, ha soltanto un “semino”.
Molti applausi alla regia e ai bravi Ennio Fantastichini (padre) e Iaia Forte (madre) con i giovani Nicola Ravaioli (figlio) e Marina Occhionero (figlia) nei costumi casual di Antonella Berardi.
Visto il 10 aprile.
Franca Barbuggiani