Sfavillante nell’oro delle scene (una piramide girevole e apribile, allusiva dei vari ambienti deputati, con contorno di sfingi e idoli sacri alla mitologia egizia), preziosa e sontuosa nei colori e nelle fogge dei costumi (di Anna Anni, che riserva le tinte neutre e umili della terra soltanto al popolino), governata nella regia da un suo arruffato ordine interno anche nelle più affollate e costipate scene di massa, l’Aida verdiana, firmata in regia e scene da Franco Zeffirelli nel 2002 per Fondazione Arena, ritorna ancora una volta (dal 23 giugno al 1° di settembre) alla ribalta estiva veronese nell’ambito del 96° Opera Festival, sostanzialmente estranea alla peculiare struttura architettonica dell’antico contenitore romano, fascinosa e seducente nelle sue complesse contraddizioni.
La storia di guerra e passioni all’ombra di troni potenti e conflittuali, tra eroismi e intrighi, si avvolge di un poetico mix di archeologia modernamente stilizzata e rivisitata, che tutto trasforma in una sorta di fiaba fantastica dove, come in tutte le fiabe, anche violenza e morte si stemperano nel sogno. Un sogno per grandi, che ammicca al kolossal, omaggiando un filone caro alla tradizione areniana, ma ama il sottile intimismo affiorante da pulsioni pur dirompenti.
Forse in questa chiave va letta anche la conduzione di Jordi Bernàcer, non sempre impeccabilmente coordinata tra orchestra, solisti, coro e coreuti, ma capace di momenti coinvolgenti ed emozionanti al filtro di una sensibilità, ci è sembrato, più sinfonica che operistica, più consona a raccolti spazi chiusi che a situazioni all’aperto.
L’edizione si avvale, inoltre, delle pregevoli coreografie originali di Vladimir Vasiliev – moderne e di varia ispirazione a seconda delle diverse situazioni: scherzose, ieratiche, selvagge, introspettive… — eseguite dai danzatori dell’ ex Corpo di Ballo stabile della Fondazione coordinati da Gaetano Petrosino, primi ballerini Beatrice Carbone, Petra Conti, Gabriele Corrado.
Nella compagnia di canto troviamo Anna Pirozzi, convincente nel ruolo del titolo; anche vocalmente, soprattutto nella seconda parte dello spettacolo, dove ha esibito un canto timbrato e ben strutturato, dal registro acuto robusto e svettante, dopo un inizio incerto, peraltro coronato da una sentita offerta di “Numi pietà”.
Riserve, invece, soprattutto sul piano tecnico, per Yusif Eyvazov, generoso nel ruolo di Radames. Violeta Urmana è autorevole Amneris, possente ed elegante, anche se, come annunciato al microfono della Fondazione, non in perfetta forma e quale ha effettivamente evidenziato la prima parte, piuttosto appannata, della sua performance.
Amonasro di lusso quello di Luca Salsi, del pari del Ramfis di Vitalij Kowaljow.
Validi, inoltre, i contributi di Romano Dal Zovo (Il Re), Antonello Ceron (Un messaggero) e Francesca Tiburzi (Sacerdotessa).
In crescendo quello del Coro preparato da Vito Lombardi.
Pieno successo di pubblico, che ha sfiorato l’esaurito.
Visto il 23 giugno
Franca Barbuggiani