“GIULIO CESARE” AL CAMPLOY DI VERONA. RECENSIONE

Luci e ombre per il “Giulio Cesare” della Compagnia Benvenuti in scena il 20 febbraio 2014 e inserito nella rassegna teatrale “L’Altro Teatro” al Camploy di Verona.

Secondo la nostra opinione l’idea vincente di questo spettacolo è quella scenografica: tre vecchie porte, consumate dal tempo, a rincorrersi in scena e a formare “figure” sceniche, particolarmente indovinate nel suggerire quel “dietro le quinte” ove, tra premonizioni, sospetti, maldicenze, prende corpo la congiura prima e si consuma il delitto poi, complice un popolo romano dal consenso facilmente comprabile.

Lo spettacolo , firmato dalla regia di Andrea Baracco, cui si deve anche la traduzione e l’adattamento teatrale con Vincenzo Manna, mantiene buona parte del testo originario di William Shakespeare, snellito- dice Baracco – per renderlo più incisivo.

“Nel Giulio Cesare Shakespeare mette in scena una società in via di estinzione,una società colta nell’attimo terminale del proprio crollo, vittima del suo fallimento intellettuale, spirituale e politico….” dice sempre Baracco nella presentazione e continua “…. Il senso ultimo del testo di Shakespeare non è incentrato né sulla figura di Cesare, né su quella dei suoi assassini, né su un episodio della storia romana. Pone invece l’accento sulla violenza in quanto tale e sulla sua origine: una violenza non controllata che nasce dall’incertezza, dalla precarietà e soprattutto dalla crisi….”

Anche se lo spettacolo vorrebbe essere ambientato ai giorni nostri, probabilmente per le analogie evidenziate da Baracco tra le due epoche, a nostro avviso lo spettacolo non riesce a superare gli argini storici dell’epoca.

La caratterizzazione dei personaggi rimane in un limbo impreciso, sospeso tra passato e presente e la scelta di una interpretazione classica, a tratti troppo enfatica, pur arricchita da inserti linguistici attuali,difficilmente ci porta oltre la dimensione temporale originaria.

Non sempre facile per gli attori mantenere viva l’attenzione degli spettatori, nonostante l’indubbia padronanza scenica: Giandomenico Cupaiuolo in Bruto, Roberto Manzi in Cassio, Ersilia Lombardo in Calpurnia, Lucas Waldem Zanforlini in Casca e Ottaviano, Livia Castiglioni in Porzia e Gabriele Portoghese in Marc’Antonio.

L’attenzione degli spettatori cade anche nelle scene danzate, le cui belle intuizioni a volte si risolvono nel già visto, attenzione che al contrario viene catalizzata da altre trovate sceniche felici, come il gioco di mani tra le porte e la stilizzazione del popolo romano.

Ci sembra che nel complesso l’interazione tra i diversi linguaggi: teatro, danza,immagini e musica, non riescano a restituire all’opera un senso di unitarietà, nonostante la pregnanza di alcuni momenti, e che il buio persistente scenico, senza dubbio motivato dalle inquietanti ombre che popolano il dramma, contribuiscano ad appesantire ulteriormente l’opera.

Forse una sintesi di questi due tempi, decisamente lunghi grazie ad un ritmo rallentato da pause e ripetitività, avrebbe reso maggiormente l’efficacia di questo complesso lavoro, ricco di sfaccettature e in potenza più che apprezzabile.

Emanuela Dal Pozzo

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