Scarso pubblico e poco partecipe, con uscite frettolose appena finito.
E’ quello che ci ha colpito di più, al terzo appuntamento con la prosa al Teatro Romano, in occasione della prima nazionale (nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese, organizzata dal Comune di Verona-Assessorato alla Cultura) di “Misura per misura” (19-21 luglio): unica opera di William Shakespeare messa in scena quest’anno in riva all’Adige, dove il Festival dedicato al Bardo è giunto alla settantesima edizione.
Colpa del testo, non certo tra i più frequentati del drammaturgo inglese? (Per restare al Romano di Verona, ci sono soltanto due precedenti: nel 1967, regia di Luca Ronconi, e nel 1987, a firma di Jonathan Miller). Forse anche no. C’è il tema forte dell’ipocrisia del potere, che condanna i colpevoli di reati di cui i suoi rappresentanti sono i primi a macchiarsi. Ci sono vari plot: quello, antichissimo, del signore che lascia temporaneamente il trono per osservare in incognito (stavolta il travestimento è il saio del frate) se i suoi fiduciari, nell’esercizio dei rispettivi ruoli, si ispirino a principi di correttezza e saggezza, e, al contempo, se essi si mantengano in piena lealtà verso il loro signore, oltre che scoprire, ovviamente, ciò che i sudditi pensino e dicano di lui; c’è quello, attualissimo, del ricatto sessuale, tratto da un evento realmente accaduto; e quello, boccaccesco, del fedifrago che giace, ingannato, con la sua legittima promessa sposa. Gli spunti ci sono. E ben calati in una stimolante poliedrica cornice di generi che abbraccia dal drammatico, al tragico, alla farsa. Quest’ultima, affidata a un bel gruppetto di clown che alleggerisce e pausa l’atmosfera di una pièce oscillante tra una componente razionale e filosofeggiante, e una passionale e affettiva dai risvolti drammatici non da poco, come la tentata violenza carnale su una povera novizia, sorella del giovane condannato a morte.
Sempre Shakespeare è, anche se non proprio ai vertici del genio. Ma è altrettanto vero che gli spunti vanno colti e ben valorizzati. A questo punto, fondamentale è la mano del regista. Nel nostro caso, il veronese Paolo Valerio, anche attore e impresario di lungo corso, con alcuni interessanti lavori al suo attivo. A nostra memoria, però, non tra le sue fatiche più recenti.
In questa edizione di “Misura per misura”, prodotta dal Teatro Stabile di Verona e dal Teatro della Toscana in collaborazione con l’Estate Teatrale Veronese, nella traduzione di Masolino D’Amico, fedele nel testo ma opportunamente sfoltita da vari episodi onde rendere più limpida la comprensione delle intricate vicende, ritroviamo molti stilemi a lui cari e più volte proposti, con gusto, in epoca prevalentemente postmoderna, un po’ rétro, datato e ripetitivo. Come il raddoppio delle immagini attorali attraverso proiezioni in diretta su grande schermo (di Antonio Panzuto), qui nel contesto di una felice impostazione meta teatrale dello spettacolo, caratterizzato da ritmi veloci e incisivi; veli scenografici e scarso arredo di palcoscenico (pure di Panzuto); memorie dal teatro delle ombre; modi dal teatro di provocazione, con ampie incursioni degli attori tra il pubblico e l’esibizione in succinta veste dei personaggi di Claudio (Francesco Grossi) e Isabella (Camilla Diana), freschi di tenera gioventù più che di sfacciata iconoclastia; riminiscenze teatrali elisabettiane, nella indicazione scritta sulla scena dei luoghi deputati alle varie situazioni; costumi (di Luigi Perego) ispirati a una modernità dark e grottesca che tenderebbe a essere atemporale.
Ma senza che tutto questo, ci è sembrato, trovasse la giusta amalgama, lasciato a un piatto paratattico assemblaggio. Poco evidenziata, inoltre, la stimolante varietà di generi (fiacca, in particolare, la parte comica) nonostante i cammei di movimenti scenici di Monica Codena e un pregevole intervento canoro di Massimo Venturiello, dalla voce timbrata e intonatissima. Nel folto gruppo di attori (ben 11) prevalentemente giovani e tutti volonterosi (in evidenza Simone Toni, Angelo; e Camilla Diana, Isabella) primeggia a mani basse (e qualche punta di simpatica gigioneria) Massimo Venturiello (Duca di Vienna) che bene coglie lo spirito shakespeariano del lavoro e del ruolo.
Visto il 19 luglio
Franca Barbuggiani