ROBERTO BRAVI: INCONTRO CON L’ARTISTA

Scelgo di intervistare Roberto Bravi nel suo coloratissimo appartamento nel cuore della città di Verona, affacciato a Ponte Pietra. L’appartamento è anche il suo studio/laboratorio: piccolo e ricco di nicchie ricavate nel muro. Si indovina un approccio alla vita simbiotico con il mondo dell’arte, almeno per quello spicchio di arte che lo lega alla lavorazione del ferro e alla sua duttile trasformazione: da un lato le sue opere già finite, nelle nicchie le scatole di latta da trasformare, a volte intere, a volte già catalogate per colore.

L’effetto finale dei suoi lavori è avvolgente e di forte richiamo immediato. Apparentemente sembrano semplicemente accostamenti di colore di grande gusto, più attentamente lavori di cesello in cui nulla viene lasciato al caso, di grande fascino evocativo, ma soprattutto rigorosamente ricavati da scatole di latta antiche.

Mi fa notare le “cuciture” di chiodi e il colore dei singoli tasselli: il blu non è lo stesso blu attualmente in commercio e mi confessa che il lavoro più importante è quello della ricerca dei materiali, soprattutto se il tema da lui scelto è un tema più volte ripetuto all’interno di uno stesso lavoro. Gli anni che predilige per il recupero del materiale sono gli anni ’50. Lavora in tridimensionale ma anche in bidimensione: al posto della tela dei pannelli di legno multistrato e mi invita a scorrere le dita sulla superficie finita. Il ferro sembra levigato, morbido al tatto e la sensazione di freddezza che mi ha sempre comunicato questo tipo di materiale d’incanto svanisce.

Come hai cominciato a lavorare in ambito artistico?

Sono uno di quegli “ultimi”, prima del cambio dell’ordinamento scolastico, che ha frequentato l’anno di avviamento professionale una volta collegato alle scuole medie. Per la mia formazione è stato un anno molto importante per due ragioni: mi ha fatto scoprire la bellezza del lavoro con le mani e mi ha introdotto alle tecniche di lavoro con diversi materiali, tra cui il legno e il ferro…

Uscito dalla scuola ho lavorato diversi anni per un’Azienda. Quando mi sono licenziato ho deciso di fare il giocoliere, ma il piacere del lavoro con i materiali non mi ha mai abbandonato: prima erano lavori di restauro sul legno, poi ho cominciato a costruirli i mobili, inventandoli secondo il mio gusto. Tutti i mobili di questo appartamento li ho fatti io: il tavolo della cucina era in origine una vecchia porta.

E come sei passato dal legno al ferro?

Un giorno per caso ho visto un portone in legno sgangherato e rattoppato con pezzi di ferro. E’ stata un’illuminazione e ho pensato: ma questa è un’opera d’arte! Così ho cominciato ad inserire elementi di ferro nei miei mobili, ma non ero ancora contento. Intanto si faceva strada in me l’idea di costruire un robot tutto di ferro a grandezza d’uomo, così una bella mattina mi sono deciso e non solo mi sono accorto che l’effetto finale era piacevole ma che la sua schiena poteva essere un’opera a se stante. Sono nate così le cose bidimensionali che vedi. Ovviamente ho approfondito la tecnica della lavorazione del ferro attraverso corsi specifici, sulla saldatura ad esempio.

Come hai fatto a fare conoscere le tue opere?

Ho cominciato a dedicarmi a quest’arte a tempo pieno nel 2008. Piuttosto che fare una vera e propria mostra, dopo aver realizzato un certo numero di opere, compresi altri robot tridimensionali, nel 2011 li ho esposti nei negozi più importanti della città ed ho avuto un immediato riscontro. La gente li ammirava, mi voleva conoscere, alcuni sono stati venduti, altre persone volevano venire nel mio studio per vedere i miei lavori. Ora ho anche clienti stranieri anche se la maggiore visibilità rimane legata alla città di Verona. Ho intenzione di fare la stessa cosa in altre città italiane, come Milano, per allargare il mio raggio d’azione, né escludo la possibilità di viaggiare anche in capitali europee o magari oltre.

Esiste, che tu sappia, qualche artista che lavori o abbia lavorato in passato con questo tipo di tecnica?

Ne esiste uno, Conrad Marcarelli, del gruppo degli “irascibili”, un movimento artistico degli anni 50 presente negli Stati Uniti, il cui lavoro assomiglia un po’ al mio, anche se l’artista preferiva la stoffa per le sue composizioni e solo in alcune ha utilizzato ferro. Ovviamente il suo era uno stile diverso.

Roberto Bravi mi mostra i suoi libri, in particolare quello che riguarda questo movimento artistico e le opere collegate, altri riportano le immagini delle colorate scatole di latta che hanno fatto la storia del nostro tempo. Bravi mi dice che quelle italiane, a confronto di quelle straniere, sono ineguagliabili per bellezza di colore e di composizione. Bravi mi dice che i suoi clienti si rendono conto che le sue opere” vestono” le stanze. Non fatico a crederci. Penso che le grandi dimensioni siano di forte impatto: la casa ne viene trasformata e invidio chi vive in grandi spazi.

Il mio stato d’animo è di contentezza quando lascio il suo studio.

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Emanuela Dal Pozzo

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