E’ Firenze a fare da giusto filo conduttore a questo abbinamento , ormai scelto da molti teatri e qui anche dal Teatro Regio di Torino nella Stagione Lirica 2013/14 che presenta il dramma in musica di Alexander Zemlinsky “Una tragedia fiorentina” con il nostrano “Gianni Schicchi”, privato delle sue due ‘sorelle’ del “Trittico”. Sicuramente l’unità di luogo nella diversità della narrazione teatrale nelle due differenti pièce ne è la motivazione principale in quanto, già da sola, crea, per contrasto, un meccanismo scenico teatralmente efficacissimo.
Solo pochi anni dividono “Una tragedia fiorentina” (Stoccarda , Hoftheater 30 gennaio 1917) , soggetto che Puccini aveva già pensato di musicare e che sostanzialmente trova poche differenze con “Tabarro” se non nell’enigmatico finale (ma che in questa sede , come vedremo più avanti, gli sarà completamente omologato) da “Gianni Schicchi” (New York, Metropolitan Opera House 14 dicembre 1918) ma la differenza di stile musicale e soprattutto teatrale e culturale è marcatissima.
Il Dramma di Zemlinski infatti , tratto dall’omonima pièce incompiuta di Oscar Wilde, appartiene totalmente ad una sensibilità viennese legata al teatro espressionista ( sono molti i legami con la musica di Richard Strauss così come i richiami a certe litografia di Beardsley, inquiete ma risolte in una sofisticata sinuosità Decò) mentre lo ‘Schicchi’ declina mirabilmente una tradizione comica tutta italiana e proprio questa dicotomia dà, alla scelta di un loro accostamento, un tratto immediato e felice ben veicolando come e quanto il teatro d’opera stava sperimentando nei floridissimi primi decenni del Novecento.
La regia di Vittorio Borrelli decide di spostare entrambe le pièce di secolo spostandole all’epoca della loro composizione ed inquadrandole in due diversi tipi di interni , sforato da una grandiosa vetrata da cui occhieggia una luna che, man mano che il dramma si sviluppa, diventa sempre più incombente e dominante ( richiamo al testo di Wilde) l’uno , inserito in un ricco interno borghese l’altro. Il lavoro di regia è raffinato, molto intelligente e funzionale , incentrato tanto sull’interpretazione del testo rappresentato come sul capillare lavoro con gli interpreti che , specie in Gianni Schicchi , dove ogni carattere è protagonista , culmina in un ottimo risultato pur con un unica, ma preponderante, variante che ci lascia perplessi.
“Una tragedia fiorentina” reinterpreta il classico tema del triangolo amoroso modificandone la chiusa. Mostra infatti un interno claustrofobico dove una moglie (Bianca) viene scoperta dal marito (Simone) insieme ad un altro uomo (Guido Bardi) e, attraverso una rete insidiosa di dialoghi e doppi sensi che culminano con un duello in scena, si arriva all’uccisione dell’amante da parte del tradito consorte. A questo punto Wilde spezza il convenzionale meccanismo teatrale facendo inaspettatamente ed incredibilmente ‘riconciliare la coppia (“Perchè non mi hai detto che sei così forte?” dice la donna accanto al corpo dell’amante ucciso “Perchè non mi hai detto che sei così bella?” risponde il marito omicida) rovesciandone così lo schema e modificandone le significanti, con un rimando immediato ad un sapore che si allontana decisamente dallo schema borghese; è impossibile infatti non ritrovare nel bacio finale tra marito e moglie qualcosa di macabro, grottesco e malato che richiama direttamente al bacio di “Salome” sulla bocca di Giovanni Battista decapitato, un bacio che ha più il sapore della morte che dell’amore, ma Wilde lascia il discorso volutamente aperto. Ora, proprio in questo punto, la regia di Borrelli lo chiude e cambia strada imboccando un percorso che indubitabilmente si avvicina, per schema tematico, maggiormente al vissuto verista pucciniano terminando l’opera con l’assassinio della moglie, tradendo però così la cifra distintiva ed innegabile di Wilde di cui la partitura si nutre e da cui prende forza e drammatica robustezza. Il fatto di estrinsecare esplicitamente il non detto in teatro può certo essere una strada di una certa coerenza ed efficacia ma, in questo preciso caso, non credo abbia sortito l’effetto voluto.
Interessanti i cast in scena per entrambi gli allestimenti.
Tommy Hakala risulta convincente e ferrigno nel ruolo di Simone così come perfettamente in parte Zoran Todorovich nel ruolo di Guido Bardi. Chiude la triade la Bianca, dalla non comune e giusta sensualità, assai ben vocalmente sottolineata, tratteggiata da Angeles Blancas Gulin.
Si sa che lo Schicchi è opera ‘corale’ in cui la giusta combinazione di teatralità e complice collaborazione in palcoscenico è fondamentale e possiamo davvero dire che il lavoro fatto dagli artisti tutti ( sicuramente ben guidati dall’intelligente regia) è stato di tutto rilievo:
Silvia Beltrami (Zita), Luca Casalin (Gherardo),Maria Radoeva (Nella), Sara Jahanbakhsh (Gherardino), Fabrizio Beggi (Betto di Signa), Gabriele Sagona (Simone), Marco Camastra (Marco), Laura Cherici (La Ciesca), Alessandro Busi (Maestro Spinelloccio/Ser Amantio), Ryan Milstead (Pinellino), Marco Sportelli (Guccio) e Paolo Vettori quale figurante nel ruolo di Buoso Donati.
Il Gianni Schicchi di Carlo Lepore viene dipinto con sufficiente robustezza vocale, bella musicalità, solida tecnica e teatrale completezza con un risultato che rimanda al pubblico un ‘carattere’ , concreto , scanzonato ma più serio che buffonesco e questa caratterizzazione, scevra da inutili orpelli ed impostata con moderno sentire, ha raggiunto, a mio parere, la sua indubbia efficacia.
Francesco Meli , che si conferma abile uomo di teatro oltre a vocalità tenorile di assoluto riferimento del momento, tratteggia con musicale baldanza e scenica disinvoltura la parte di Rinuccio mentre Serena Gamberoni interpreta il ruolo di Lauretta con grande raffinatezza tecnica e formale.
Non convince invece la direzione di Stefan Anton Reck che , certo più a suo agio con le sonorità chiaroscurali di Zemlinski, tende a perdere un po’ di compattezza ed omogeneità nello Schicchi, e , con questo cast in grande armonia in palcoscenico, è parsa davvero un’occasione mancata.
Applausi per tutti e , specie per lo ‘Schicchi’, autentiche ovazioni per gli interpreti di questo interessantissimo dittico torinese.
Torino, 29/03/2014
SILVIA CAMPANA