NARRATIVA DI IERI: ARUNDHATI ROY “IL DIO DELLE PICCOLE COSE”

Impossibile resistere al fascino di questo libro che, come la corrente di un fiume in piena, trascina con impeto nel mulinello dell’immaginario narrativo, anche se di immaginario c’è ben poco.

E’ il primo romanzo, capolavoro, della scrittrice indiana Arundhati Roy e risale all’ormai lontano 1997, eppure non smette di calamitare a sé il pubblico. Probabilmente è il linguaggio che l’autrice sfoggia nel testo a tradurre visioni, immagini e ambientazioni geografiche e interiori in grado di estraniare il lettore dal suo contesto e proiettarlo in un Kerala intriso di contraddizioni e pregiudizi.

Personaggi e luoghi affiorano delicatamente da una storia difficile e dolorosa, in cui numerosi flash back si intrecciano all’evolversi dei fatti.

Il punto di vista dominante è quello di due piccoli gemelli dizigotici che, alla fine degli anni ’60, osservano, decifrano e traducono la realtà circostante, seguendo i canoni interpretativi propri dell’infanzia.

Estha e Rahel, figli della bellissima ma sfortunata Ammu, amano per affezione e giudicano gli uomini senza tabù, guidati solo dalla sensibilità e dalla purezza dei sentimenti.

Purtroppo ruotano attorno a loro numerosi personaggi negativi, dall’aristocratica e prepotente nonna, alla zia Baby che, perfida, gode delle disgrazie altrui.

I nodi fondamentali del romanzo sono quindi l’amore, la gioia e la sofferenza ad esso legate e le insormontabili differenze di casta. E’ l’Intoccabile Velutha, dolce presenza accanto ad Ammu e ai suoi figli, a subire le conseguenze peggiori dei pregiudizi sociali, dai quali non viene risparmiata nemmeno la giovane donna, rea di un amore disonorante.

I due gemelli, tenuti separati, si rincontrano dopo 23 anni, ma Estha, a seguito delle profonde disperazioni vissute, ha deciso di non parlare più e chiudersi in un silenzio ricco di significati. E’ proprio il suo mutismo ad urlare il messaggio contenuto nel testo.

Arundhati ha sempre dichiarato di non credere al mito del professionismo, del successo letterario e della conseguente ricchezza. Dopo questo primo romanzo, con cui ha vinto il Booker Prize, si è dedicata a riflessioni su tematiche impegnate come la politica e le dighe, devastatrici di territori e uomini.

La lettura di questo testo mi ha permesso di conoscere uno spaccato particolare dell’India, lontano da quello turistico e commerciale. L’India degli amori impossibili, ancora legata a convenzioni e radici culturali discriminatorie, legami ostacolati ma indissolubili.

“Anche dopo, nelle tredici notti che seguirono la prima, per istinto si aggrapparono alle Piccole cose. Le Grandi Cose stavano acquattate dentro. Sapevano che non c’era posto dove potessero andare. Non avevano niente. Nessun futuro. Perciò si aggrappavano alle piccole cose”.

Daniela Marani

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