L’AIDA STORICA ALL’ARENA DI VERONA. RECENSIONE.

Aida_FotoEnnevi_080817_044Arena di Verona gremita in data 22 giugno 2019, in occasione della prima dell’Aida, con lunghe file all’ingresso per i controlli di routine che hanno ritardato l’orario d’inizio dell’opera con disappunto del pubblico. Un’opera in quattro atti già di per sé lunga, libretto di Antonio Ghislanzoni, che però, grazie alla vivacità di un cast all’altezza, alla regia di Gianfranco De Bosio e al generoso e sapiente disegno luci di Paolo Mazzon ha saputo tenere sempre desta l’attenzione.

Opera nata nel 1870 e commissionata a Giuseppe Verdi in occasione dell’inaugurazione del nuovo Teatro de Il Cairo, avrebbe dovuto celebrare la grandezza dell’Egitto e Verdi ne aveva seguito le diverse fasi della sua realizzazione fino al debutto alla Scala di Milano nel febbraio del 1872, dopo la sua inaugurazione al Cairo l’anno precedente, avvalendosi della consulenza storica dell’Egittologo francese Auguste Mariette, conservatore al Museo del Louvre e dal 1858 direttore degli scavi archeologici in Egitto, che ne aveva firmato anche i costumi, gli accessori, il design e l’ideazione dei set.

Testimonianza di queste informazioni sono le bozze, ricche di riferimenti scenografici, recentemente ritrovate nella Bibilioteca dell’Opera di Parigi.

Nei fatti invece l’Aida diventerà la testimonianza di un Egitto evocato, filtrato dalla percezione e dalla cultura occidentale, non troppo attento ai fatti e ai documenti scientifici che lo costituiscono, come invece avrebbe voluto la committenza che chiedeva un’opera esclusivamente storica, con scene basate su descrizioni storiche e costumi disegnati avendo i bassorilievi dell’Alto Egitto come modello.Aida_FotoEnnevi_060817_296

E tale lettura evocativa e “di superficie” ci è sembrata essere presente anche in questa edizione 2019, che si rifa a quella prima rappresentazione areniana del 1913, ispirata alle immagini d’epoca e ai bozzetti disegnati dall’architetto Ettore Fagiuoli. Una messa in scena estetica, con richiamo all’art noveau d’inizio secolo, le tinte pastello tipiche del deserto e i cui motivi decorativi delle otto colonne scenografiche, vengono poi ripresi negli abiti creando un effetto corale d’insieme di bella gradevolezza. (allestimenti scenici Michele Olcese).

La celebrazione della storia Egizia sembra stereotipicamente evocata, l’apparenza vince sull’essenza, togliendo spessore ad una simbologia ricca di contenuti.

Nella stessa chiave ci è parsa giocare la coreografia di Susanna Egri che, tolta la suggestiva danza dei primi ballerini Petra Conti, Mick Zeni e Alessandro Macario, propone una visione dell’Africa filtrata da pregiudizi occidentali, rendendo peraltro gradevole e divertente il gioco d’insieme.

Peccato anche che l’imponenza delle strutture, tra colonne, templi, altari e obelischi, nonostante il loro agevole e veloce trasformarsi nei cambi di scena, abbiano ridotto il movimento scenico dei protagonisti e lo spazio di movimento corale, protagonisti attorno ai quali ci sembra la regia si sia stretta, indugiando sulle luci e sui dettagli.

Abbiamo apprezzato la scena conclusiva nella tomba a cielo aperto, che ha dato grande respiro ai due interpreti.

Aida_FotoEnnevi_060817_095 bisCoinvolgente l’interpretazione di tutti: è brillata Anna Pirozzi, Aida trascinante e intensa, si è imposta Violeta Urmana, ben calata nella parte di Amneris, meno convincente ci è parso Radames (Murat Karahan), non aiutato dalla rigidità corporea peraltro giustificata dal ruolo militare, al contrario di un esuberante Amonasro (Amaruvshin Enkhbat), capace di prendere la scena.

Bene gli altri: Il Re ( Romano Dal Zovo), Ramfis (Dmitry Beloseskskiy), Un messaggero (Carlo Bosi)

Apprezzabile la direzione dell‘Orchestra dell’Arena di Verona di Francesco Ivan Ciampa, attento alle sfumature e capace di giocare con i volumi sonori (troppo basse le vocalità della Sacerdotessa (Yao Bo Hui) e del Coro nel tempio, maestro del coro Vito Lombardi), pur con qualche iniziale problema di sintonia con la dinamica vocale.

Rimane un’opera, anche in questa ripresa storica, capace di parlare dell’antico Egitto in modo elegante e raffinato, a prescindere dai contenuti veicolati, animata da grande coralità e il cui dualismo ragione/ sentimento si esprime soprattutto attraverso la contrapposizione tra ragioni di Stato e di Religione/ passioni e sofferenze dei personaggi, che infine soccomberanno grazie ad un pessimismo verdiano ateo e sospettoso degli uomini politici della Chiesa.

Emanuela Dal Pozzo

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