Francesco Micheli inquadra questo ormai celebre allestimento de “La Bohème”, ripresentato al Teatro La Fenice di Venezia nel corso della corrente Stagione 2013/2014, all’interno di un’etichetta ‘decò’ nel quale arte e comunicazione giocano a rimpiattino e dove gli stessi caratteri assumono i tratti di figurine ritagliate su uno sfondo da cartolina. Tutto è sfumato ed interpretato come se si giocasse all’interno di un ‘puppentheater’ in cui i colori sono marcati, i giochi scenici efficaci e variopinti ( Musetta è delineata ad esempio come una ‘grisette’) ed i ruoli sbozzati a carboncino . Punto di partenza evidente ” Scènes de la vie de bohème” di Henry Murger, a cui Puccini si ispirò, un insieme di racconti caratterizzato da uno stampo del tutto contemporaneo e cronachistico che non si risolve però , a parte la felice intuizione scenica del quadro del I Atto ( che calerà poi anche ad incorniciare coerentemente il finale ) in un’ analisi effettivamente attuale, fermandosi intenzionalmente in una sapiente e raffinata confezione teatrale che , come sempre in queste operazioni, si risolve nella qualità della carta e nella scelta dei colori piuttosto che sul contenuto .
Per quanto riguarda l’aspetto prettamente vocale dello spettacolo una breve premessa è necessaria .
Non credo di ricordare (nella mia, purtroppo, non giovane frequentazione teatrale) un teatro che accogliesse con un silenzio assoluto “La gelida manina ” e la successiva “Mi chiamano Mimì” ma ciò è successo durante la replica serale alla quale ho assistito e questo mi porta a fare una veloce riflessione sul perché ciò può essere avvenuto .
Il totale silenzio in sala può essere causato da due principali ed opposti motivi : un pubblico particolarmente raffinato che colga un’interpretazione scarna e frettolosa e dunque la punisca con un critico silenzio, oppure un pubblico che non conosca e non capisca ciò che avviene in palcoscenico e dunque non si permetta di interagire in alcun modo con la pièce; io temo che ciò che è accaduto in occasione di quella recita sia imputabile al secondo di questi motivi in quanto il Teatro la Fenice, spesso perdendo la sua stessa identità teatrale , si sta trasformando, purtroppo fatalmente, in tappa privilegiata di questo o quel ‘tour operator’ (e non è il solo purtroppo) e le conseguenze di questa scelta , solo in parte obbligate della centralità turistica della ‘Serenissima’ , spesso si fanno sentire non tanto negli allestimenti , principalmente scelti su di un astuto e assai ben costruito ‘appeal’, quanto sulla resa prettamente artistica dello spettacolo .
Comunque, per un motivo o per un altro, di fatto non c’ era molto da applaudire in questa ‘Bohème’ contraddistinta da una performance del cast vocale complessivamente priva di quella teatralità e uniformità musicale e scenica che il melodramma sempre esige.
Carmen Giannattasio non è certo voce da Conservatorio, ma anzi una delle personalità più in vista oggi nel panorama lirico internazionale per tutta una summa di fattori artistici e d’immagine, dunque si pretende da lei una prestazione al livello almeno della sua popolarità. La sua è una vocalità dall’indiscutibile qualità timbrica e l’artista è altresì dotata ( quando vuole) di grande intensità teatrale ( molto interessante il suo IV Atto ). Ci si domanda dunque il perché la sua Mimi risulti completamente assente nei primi due Atti, incominci a respirare nel III ( “Donde lieta uscii”) e sfoci in pura teatralità nel IV . Ci aspettiamo da un’artista dalle sue qualità una caratterizzazione che vada oltre il mero canto e che si sviluppi con maggior intensità attraverso un capillare studio del ruolo interpretato che non può comparire a fine opera, ma essere presente e palpitante già dal suo primo ingresso in scena. Siamo comunque certe che in futuro l’artista, alla quale non mancano ottime doti teatrali e comunicative, saprà ben affinare la sua innata teatralità per offrirla al pubblico in maniera più omogenea e teatralmente convincente.
Il resto del cast (Matteo Lippi / Rodolfo, Julian Kim/Marcello ,Armando Gabba /Schaunard, Francesca Dotto / Musetta, Matteo Ferrara / Benoit, Andrea Snarski /Alcindoro, Dionigi D’Ostuni /Parpignol, Bo Schunnesson /ambulante, Salvatore Giacalone /sergente dei doganieri e Nicola Nalesso /doganiere) non si è distinto, in particolare non tanto per mancanza di qualità ma per assoluta assenza di teatro a parte Andrea Mastroni, nel ruolo di Colline, che ha confermato un timbro autorevole, pastoso e naturalmente teatrale che deve però imparare a dosare con maggior cura .
Il M° Jader Bignamini ha diretto con giusta attenzione, dando una lettura della partitura rigorosa e puntuale anche se la mancanza di collaborazione con il cast in palcoscenico ha portato a non pochi scollamenti musicali .
Il pubblico ha comunque mostrato di gradire lo spettacolo salutando al termine tutti gli interpreti ed il Direttore con numerosi applausi e chiamate .
Venezia, 29 aprile 2014
SILVIA CAMPANA