Tra il 1978 e il 1991 Jan Fabre, ossia uno tra gli artisti più influenti dell’ultima metà del Novecento fino a oggi, scrive di notte. Pensieri fugaci, veloci, sulla famiglia, sulla vita, sull’arte. Sulla bellezza. Eccoli riuniti qui, in The Nightwriter, una summa che, in piccoli bagliori, illumina per il profano il suo percorso umano e artistico. Appunti sparsi, aforismi, minime e grandi intuizioni che andrebbero forse perse in più ampie dissertazioni.
Realizzato da Fabre stesso insieme all’attore Lino Musella, che lo interpreta in scena, il monologo prende vita in quella che possiamo tranquillamente descrivere come un’installazione (una landa di sale, sei pietre a terra e quattro posate su quelle frontali – rievocazione, infatti, di un’installazione dello stesso Fabre del 2007).
In mezzo, una scrivania. Tipico ambiente/studio in notturna, connotato con tutti i segni del caso (le bottiglie, le sigarette, il posacenere), dove un uomo solitario ricorda opere e annotazioni, mentre beve liquori e fuma senza sosta. Notturno come il pianeta desolato che abita. Alle sue spalle vediamo proiettati due tipi di immagini, una fissa e vari frammenti di un video che si rivelerà, nel finale, essere il documentario di una performance. E poi frasi da fissare nella mente, da sottolineare per lo spettatore. Come a dire: “attento, questo è importante”. In questo modo ci si immerge nell’atmosfera di un poliziesco, un noir, ma degli anni 80 grazie alle musiche un po’ démodé (come, d’altra parte, il trench della sequenza finale).
Quello che si intraprende è un viaggio guidato da Fabre stesso nella sua mente, in alcune stanze del labirinto, col filo che lui dipana per noi. Nel frattempo, cresce il desiderio di leggere i diari notturni, e si affacciano tante domande che, forse non a caso, si mescolano con problemi legati a questioni di genere (l’artista è stato accusato di comportamenti sessisti nella sua compagnia, Troubleyn, e bisogna ammettere che spettacolo e articoli di approfondimento sulle accuse di sessismo si scontrano e fanno scintille. Tuttavia, non è questo il momento di approfondire in una simile direzione, che comunque rimane aperta).
The Nightwriter è una porta che si apre sul mondo e sull’opera del maestro, destinata a chi abbia voglia di lasciarsi incuriosire, o il desiderio di chiedersi: perché? Che cos’è? Perché quel sale, quelle pietre/cervello? Cervello che sente o cuore che pensa? Tema, questo, di un’altra recente installazione di Fabre (creata insieme allo scienziato Rizzolatti). Perché quell’acqua o quel gufo?
Quelle parole che si perdono nello scorrere delle cose, come nell’acqua, sommerse. Essere esca per attirare i pesci? Per farli abboccare? Per attrarre gli insetti in trappola, per fare uscire gli umani dalla caverna? Responsabilità d’artista. Sua onestà. E poi quell’uomo che misura le nuvole. Lui, col suo cervello piccolino, a voler misurare ciò che più dell’acqua non solo scorre, ma svanisce, si riforma, ed è sempre altrove – lontano lontano. Piccola misura, quel metro, a misura dell’uomo che lo tiene in mano. Fuori piano, fuori portata, fuori scala, fuori scala per essenza. Non sarai mai nuvola. Non la puoi misurare, non ti ci puoi perdere, non la puoi toccare. L’inarrivabile, l’incommensurabile.
Se all’inizio del monologo c’è spazio anche per ricordi e immagini di una famiglia relativamente strampalata, mano a mano e sempre più prendono spazio il corpo e il racconto delle performance dell’uomo spruzzatore e dell’artista.
Il corpo, elemento così importante nell’arte di Fabre, non come tema ma come presenza che si impone e reclama, che è al centro (della scena) perché è al centro (di tutto). Quel corpo che si fa opera d’arte col sangue, come un urlo, una dimostrazione, un: “e allora prendi questo”. E poi tutto quello spruzzare, spruzzare, spruzzare. Spruzzare perché non puoi sempre fare arte e fare arte perché non puoi sempre spruzzare te stesso, per farti uscire fuori qualcosa da dentro. Ma è esprimere te stesso oppure esprimere la Vita dentro di te? Come se anche l’arte fosse un’urgenza fisiologica… Maschile? Il suo Ego si manifesta oppure si annulla nell’estasi annientante? Tantra od onanismo, meditazione sull’eterno o delirio dell’ego? In ogni caso, fisiologia maschile che una donna difficilmente conosce con tale urgenza e dolore di pancia. E allora, maestro, se una donna non spruzza, quale arte le è data? Pari, inferiore, nulla o diversa? In ogni caso, esiste arte senza Ego? O forse sarebbe meglio dire, esiste artista senza Ego?
In tutto questo, gli occhi girano, la bocca fa smorfie, le gambe si muovono proprio come dovrebbero quando qualcuno cerca di esprimere tensione. Ebbene sì, il corpo di Musella non ci è piaciuto. Gesto esteriore. Ed esterno. Forse per scelta, come maschera, ma non abbastanza per essere efficace e troppo smaccato per essere realistico e sincero. Sulla voce, sospensione.
Mailè Orsi
Visto al Centro Giovanile Dialma Ruggiero di La Spezia, il 14 novembre 2019