LA DINAMICA E VARIOPINTA “ITALIANA IN ALGERI” AL FILARMONICO DI VERONA. RECENSIONE

L'ItalianaInAlgeri_FotoEnnevi_210220_0213E’ ritornata al Filarmonico di Verona, il 23 febbraio, dopo sei anni di assenza, l’“Italiana in Algeri” di Gioachino Rossini, secondo titolo della stagione operistica 2020 al chiuso di Fondazione Arena.

La celebre opera del Pesarese è stata accolta da un pubblico alquanto ridimensionato nei numeri — chiaramente a causa della difficile situazione sanitaria del momento — ma non per questo meno partecipe e, alla fine della rappresentazione, calorosamente plaudente. Noi il 23 c’eravamo, ma “L’Italiana”, annunciata in cartellone fino al 1° marzo con tre repliche, rischia, oggi 23, di non avere alcuna ripresa.

Per l’occasione, è stata presentata nell’allestimento della Fondazione Teatro Verdi di Pisa in coproduzione con la Fondazione Teatro Lirico Giuseppe Verdi di Trieste per la regia di Stefano Vizioli. Una regia dinamica e molto curata nei movimenti scenici – gradevoli i contributi mimici di Pierluigi Vanelli — e assai variopinta nei costumi di Ugo Nespolo, storici e tradizionali rivisti con fantasia, e nelle scene a mo’ di quinte bidimensionali dipinte a tinte piatte, dallo stesso firmate ed ecletticamente ispirate a futurismo, concettualismo, dadaismo, con qualche reminiscenza pop e naïf nei limitati oggetti di arredo. L'ItalianaInAlgeri_FotoEnnevi_210220_0125

Grazie anche alle luci di Paolo Mazzon, assume una valenza fiabesca e pur ammiccante, che proietta la insistita simbologia erotica in una dimensione quasi infantile.

Allegria e divertimento sono assicurati, facilitati da una narrazione chiara e lineare, talora persino didascalica, nella quale ben si valorizzano le varie atmosfere e i diversi stati d’animo, come pure i tocchi di maliziosa ironia che sottolineano l’ambiguità di situazioni e protagonisti — non più maschere ma non ancora personaggi.

Ne esce un Rossini brioso e liricamente romantico, felicemente colto con fantasia e misura.

Non altrettanto, ci è sembrato, da parte della componente strumentale, nella corretta ma piatta lettura proposta da Francesco Ommassini alla guida dell’orchestra della Fondazione, diligentemente osservante (con qualche sbavatura) le direttive impartite dal podio, il quale, inoltre, non sempre ha saputo ovviare a talune discrepanze tra palcoscenico e golfo mistico.

L'ItalianaInAlgeri_FotoEnnevi_210220_0116Nella compagnia di canto, complessivamente di buon temperamento rossiniano, colpisce la particolare vocalità di Vasilisa Berzhanskaya nel ruolo del titolo. Già appannaggio di importanti mezzosoprani, l’artista russa affronta la parte con eclettico canto, difficilmente incasellabile in un preciso registro, che oltre tutto nel suo caso ci sembrerebbe pure limitativo pretendere. L’estensione spazia dalle vette del soprano fino alle gravità del contralto, assumendone di volta in volta i rispettivi timbri, dal più lucente al più brunito. L’acuto è preciso e svettante e i bassi sono sicuri e corposi; la zona mediana tende a virare verso le estreme; la voce, tendenzialmente retroflessa, scorre ma non sempre brilla per agilità. Ha riportato un notevole successo personale, anche a fronte di una disinvolta resa attorale.

Lindoro è Francesco Brito, materia vocale fresca e gradevole, forse un po’ acerba, che evidenzia qualche problema specie di emissione, ma è credibile nella parte.

Molto bene scenicamente e vocalmente Biagio Pizzuti (Taddeo) e il basso coreano Dongho Kim (Haly).

Il terzo basso, Carlo Lepore (Mustafà), scenicamente non meno valido, ha voce potente e ampia, segnata da un leggero tremulo e non sempre precisa.

Di valore, l’Elvira di Daniela Cappiello e bravo il coro maschile preparato da Vito Lombardi.

Franca Barbuggiani

Visto il 23 febbraio

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