Non ci ha convinti l’allestimento scenico di “L’Avversario”, trasposizione del romanzo di Emmanuel Carrère, per la traduzione di Eliana Vicari Fabris (Adelphi Edizioni), produzione Teatro dell’Elfo e la lettura scenica di Invisibile Kollettivo, in scena al Teatro Comunale di Casalmaggiore.
Lo spettacolo riprende un fatto di cronaca avvenuto realmente in Francia in cui un uomo, dopo aver mentito diciotto anni sulla propria identità spacciandosi come medico, piuttosto che la sua bugia venisse a galla ha preferito ammazzare tutta la sua famiglia, venendo quindi condannato all’ergastolo.
La lettura scenica rimane fedele al testo di Carrère, per ammissione degli attori/registi di Invisibile Kollettivo, ( Nicola Bortolotti, Lorenzo Fontana, Alessandro Mor, Franca Penone, Elena Russo Arman, Debora Zuin) ripercorrendo il dramma dell’uomo e della sua vicenda.
A noi non è parsa chiara l’urgenza della messa in scena di questo spettacolo, l’intenzione prima che ha mosso gli attori di Invisibile Kollettivo a proporre questa lettura scenica, intenzione che sarebbe dovuta emergere da una regia capace di sottolineature ed accenti di un materiale scenico abbondante e a volte ridondante.
L’effetto ci è parso essere quello di un calderone, un contenitore ricco di contaminazioni di diverse poetiche, nel quale si riconoscono stili di diversi autori ( simbologie del teatro sudamericano ( Cesar Brie), nell’utilizzo ad esempio di grucce/manichini e stracci a significare la morte, alle quali però viene tolto l’impatto fortemente emotivo tipico, o composizioni stilizzate suggestive più complesse che richiamano certe scene di Latella) , ma anche piani sovrapposti narrativi ( si passa con disinvoltura dal teatro al cinema, dal dramma al musical), con elementi di disturbo ( la presenza dei libri in mano agli attori è costante, anche quando non serve, e sembra impacciare il movimento), scene sovraffollate, ritmo non sempre preciso, luci (Roberta Faiolo) indipendenti da ciò che succede in scena ( un vero peccato che la scena del funerale, esteticamente una delle migliori, passi quasi in sordina nel buio, così come altre scene), forse tutte scelte volute per decentrare il punto di osservazione e sottolineare ancor più l’assenza del protagonista, ma con l’effetto, dal nostro punto di vista, di renderne complicata e poco agile la comprensione, già “raffreddata” dal venire proposta come lettura scenica.
Forse è proprio questo suo stare a metà tra la semplice lettura del testo e lo spettacolo vero e proprio, con la continua incursione di immagini che pescano da un immaginario estremamente articolato e anche disarmonico, per quanto stimolante, il limite di questa messa in scena, sempre secondo noi, che sembra, anche in questo caso, non saper decidere con chiarezza quale strada prendere.
L’audio altalenante, con alcuni interventi amplificati altri meno, ha contribuito a confondere ancor più la comprensione del tutto.
Infine due cose in particolare hanno destato la nostra perplessità: la presenza, anche se per poco, di un cane in scena, una presenza della quale non abbiamo avvertito l’utilità sul piano drammaturgico, e i lunghissimi minuti di totale silenzio degli attori durante lo spettacolo, un silenzio che avrebbe dovuto rappresentare le lunghe ore vuote del protagonista, nella sua vita di solitudine e di menzogne.
Ci è sembrato un punto di vista egocentrico questo silenzio, più simbolico astratto dalla parte dell’attore, che efficace nell’effetto nei confronti dello spettatore, e, continuando sempre nella nostra ricerca d’interazione attore/spettatore suggerita dagli spettacoli, emblematico in questo caso di un rapporto attore/spettatore auto centrico, più teso al palcoscenico che alla platea.
Visto il 22 gennaio 2022
Emanuela Dal Pozzo