di Emanuela Dal Pozzo
Villa Valente Crocco, antica villa nella campagna rodigina in località Serravalle del Comune di Badia Polesine (Rovigo), confiscata alla mafia nel 2002 dalla Procura di Verona, è oggi un prezioso spazio riutilizzato dalla collettività, Casa della Legalità e della Cultura e sede del Centro di Documentazione Polesano Onlus (CDP) che coordina diverse associazioni territoriali.
C’è vita oggi in questa villa dal torbido passato.
La civiltà riafferma i propri valori di democrazia partecipata attraverso incontri a tema, cineforum ed attività all’aperto.
E’ in una di queste occasioni che abbiamo assistito alla performance “ La leggenda di Giovanni Due Cuori” di Carlo De Poi, attore e regista del Collettivo di Ricerca Teatrale di Vittorio Veneto (Treviso), che si definisce umilmente “ vecchio artigiano”, ma che in realtà sappiamo essere uno studioso appassionato di teatro e dei linguaggi teatrali, nel tempo a contatto con artisti oggi tra le più importanti realtà teatrali italiane e internazionali e che hanno trovato, in quasi cinquant’anni di attività, presso la sua sede di Vittorio Veneto, un punto di riferimento e un luogo di scambio e di confronto.
E’ anche sensibile interprete dei problemi sociali che attraversano la nostra cultura, da molti anni impegnato in quel teatro di valenza civile che spesso si riconosce nel teatro di narrazione o di affabulazione.
Un’efficacia comunicativa attore/spettatore quella di Carlo De Poi, evidente anche in questa performance, e che rivela una visione di teatro completamente diversa da quella che sembra spesso invadere i teatri oggi, che tendono a far coincidere il mezzo con il fine, e in cui la ricerca teatrale spesso finisce per diventare ricerca stilistica autoreferenziale.
Il racconto/testimonianza “ La leggenda di Giovanni Due Cuori” ( “esiste un cuore per amare e un cuore per lottare) narra, sotto forma di favola, la vita straordinaria di Janus Korczak, medico e pedagogista polacco, ideatore e direttore per oltre trent’anni della “Dom Sierot”, la Casa degli Orfani di Varsavia.
Quella casa diventa un emblematico modello di democrazia reale e partecipata dai bambini che la abitano, fondata su leggi e principi basati sul reciproco rispetto e la civile risoluzione dei conflitti, promossi dai bambini stessi, ma diventerà anche l’esempio della maggiore sconfitta dell’umanità adulta, quando nel 1942 la violenza nazista ne segnerà il drammatico epilogo.
“ Ho scelto la favola” dice Carlo De Poi “perché sono convinto, un po’ come i sopravvissuti che per anni non sono riusciti a parlare, che le parole non potessero trasmettere l’enorme dolore provato da milioni di persone violentate, straziate, annientate dalla furia nazista; ma che anche un racconto realistico non riuscisse a scuotere, a indignare, a far nascere quel moto di rivolta e di lotta concreta che animò per tutta la vita il nostro “medico dei bambini”.”
Toccante il racconto nella propria amara poesia, pertinente con il luogo in cui si è svolto e necessario nell’attuale contesto geopolitico dai risvolti inquietanti.
Un racconto, distribuito poi anche gratuitamente in versione stampata agli spettatori, che si è avvalso di una minuziosa ricerca bibliografica e di un attento esame delle fonti, come anche attestano le musiche utilizzate nello spettacolo ( Paola Perin) della musicista e compositrice ebrea cecoslovacca Ilse Weber, spartiti trovati dal marito dopo la morte della moglie nel campo di sterminio di Awschwitz- Birkenau.
A seguire confronti informali non solo con gli incuriositi spettatori, ma anche con altri attori e artisti presenti, segni di vitalità di un teatro che semina, che unisce, che cresce.
Visto in data 26 febbraio 2022