INTERVISTA A ROBERTO BONADIMANI: DAL TAVOLO DI LAVORO AI PIANETI LONTANI.

di Nicola Ruffo

Se il nome di Roberto Bonadimani può risultare sconosciuto alla maggioranza, ciò è dovuto a due grandi – e colpevoli – limiti della cosiddetta “cultura alta” italiana.

Il primo consiste in un persistente atteggiamento di snobismo verso la nona arte, il fumetto, considerato ingiustamente un prodotto meramente commerciale e di serie B. E questo nonostante il nostro Paese possa vantare matite eccellenti che hanno saputo, e tuttora sanno, coniugare arte e cultura nelle “nuvole parlanti”: Hugo Pratt, Dino Battaglia, Laura Scarpa, Milo Manara, Cinzia Ghigliano, tanto per citarne alcune.

Il secondo è più precipuamente legato al genere narrativo trattato da Roberto: la fantascienza. Malgrado da noi questa goda di vaste fasce di appassionati, è sempre stata trascurata o giudicata con sufficienza dalle elite del mondo accademico.

Eppure, fra i cultori di comics, Bonadimani è molto apprezzato e ha ottenuto numerosi riconoscimenti.

Roberto è un fumettista veterano, classe 1945, di origini veronesi. Lo si può definire un vero self-made man: non ha frequentato scuole, accademie o corsi di disegno, ma si è formato esercitandosi fin da ragazzino, giorno dopo giorno, chiuso nel suo studio, sorretto unicamente da incrollabile volontà, pazienza e tanta umiltà. Ha educato la sua mano copiando i grandi maestri internazionali, arrivando poi a maturare un suo personalissimo stile, e nel 1998 gli è stato finalmente conferito alla carriera l’ambito Yellow Kid, il più prestigioso premio nell’ambito dei fumetti.

Appassionato di fantascienza fin da bambino, ha sviluppato una fervida fantasia che lo ha reso un vero romanziere per immagini regalandoci opere di elevata qualità, sia dal punto di vista grafico che da quello narrativo, pur non avendo avuto una produzione prolifica. Alcuni titoli: Rosa di stelle; Anyha l’amazzone; Verdecaos; Cittadini dello spazio.

Nei suoi soggetti si mescolano fantasy, fantascienza classica, un po’ di magia, avventura. Spesso le storie ondeggiano in un clima onirico, a tratti poetico. Lo scenario cosmico però, fatto di pianeti remoti, galassie lontane, astronavi e alieni, è quello preferito dall’autore.

Roberto, fedele al suo daimon interiore, ha sempre scritto e disegnato da sé i suoi lavori, rifiutandosi di mettersi al servizio di altri. Le sue pubblicazioni sono quasi tutte auto pubblicate.

Ecco un mio stralcio di intervista:

Roberto, tu sei un autore completo: scrivi e disegni i tuoi soggetti per conto tuo, come i veri grandi maestri.

So di aver dato un contributo al mondo dei comics fantascientifici. Se poi sia un maestro, questo non lo so. Mi considero un fumettista che ama il suo lavoro e che ha avuto la fortuna di poterlo svolgere solo come passione.

La tua voglia di indipendenza ti ha sempre tenuto lontano da certe proposte di contratto delle case editrici.

Non ho mai voluto operare nell’editoria come lavoro. Sarei stato costretto a fare cose che non mi piacevano, o che non sentivo come mie. Io avevo le mie storie da raccontare e non volevo spendere il mio tempo per sceneggiare soggetti di altri. Inoltre avevo già il mio lavoro alla Mondadori, quindi non c’era l’esigenza di cercarmi un altro impiego.

Così mi disse un collega quando fu assunto da una famosa casa editrice italiana: “Ora è terminata la fame ma anche la mia creatività”.

Non ti sei mai fatto condizionare dai gusti del pubblico o dalle mode del momento?

Se avessi seguito le richieste del pubblico avrei deragliato dalla mia strada. I lettori spesso chiedono cose assurde, che dal punto di vista narrativo sono inconcepibili, o sbagliate. Eppure, per esigenze di vendite, alcuni editori li assecondano.

Il recente team up (un incontro tra personaggi di testate diverse; NdR) fra Tex e Zagor, i due maggiori characters della Bonelli, per esempio, è stato fatto in quanto da anni molti lettori lo invocavano. Eppure sono due personaggi inconciliabili, dal punto di vista narrativo; il primo vive in un western realistico, con forti agganci alla Storia; il secondo invece agisce in una dimensione zeppa di anacronismi e di fantasia sfrenata, dove ci sono alieni, vampiri, draghi. Averli fatti incontrare ha minato la credibilità di entrambi.

Il tuo stile è caratterizzato da una certa puntigliosità, una cura quasi maniacale dei dettagli.

Infatti a volte devo forzarmi di staccare, altrimenti non finirei mai. Amo curare i particolari, riempire le immagini. A volte, per una singola tavola, mi impegno per giorni e giorni. Così come amo disporre le vignette senza seguire un ordine prestabilito, rigido, come nel modello classico. Fu Crepax a influenzarmi su questo.

Come vedi il panorama fumettistico oggi?

Non lo seguo quasi più. Leggo ancora qualche serie, quelle a cui sono più affezionato, ma non mi interessano le novità. Alla mia età sto dando priorità ad altre cose: lo stare con le persone care, le passeggiate in montagna, le cene con amici.

Posso dire che le attuali giovani generazioni non siano più tanto interessate al fumetto, ormai letto solo dai vecchi come me (sorride). Ricordo che ai miei tempi, quando ero fanciullo, si vedevano le file di bambini in edicola che sfogliavano gli albetti. I ragazzi oggi sono attratti dalle moderne tecnologie informatiche, dagli smartphone, da internet; il fumetto ha fatto il suo tempo.

È un peccato perché ha saputo regalarci mondi meravigliosi che hanno plasmato la nostra immaginazione, le nostre emozioni, i nostri sogni.

Oggi si parla di graphic novel, distinguendolo dal fumetto popolare. È una distinzione che ha ragione di essere?

Graphic novel” è un termine che viene dall’America per indicare quelle produzioni non di tipo seriale, come invece è sempre stato il fumetto popolare tipo Tex o Diabolik che ormai escono in edicola da oltre sessant’anni.

Poi però, se si va sul contenuto specifico, è difficile tracciare una distinzione precisa. Mi chiedo: è sufficiente fare un singolo volume per dire che si tratta di un graphic novel? Cose di questo tipo esistevano anche ai miei tempi, e nessuno li chiamava così.

Un albo cartonato di grande formato di supereroi della Marvel, per esempio, dove c’è una sola storia autoconclusiva, può considerarsi un graphic novel?

Roberto e la fantascienza

Il potere della science fiction è che, partendo dal plausibile, ti apre scenari sconfinati; è ricca di possibilità, suggestioni, interpretazioni.

La fantascienza mi ha permesso di evadere dalla quotidianità, di viaggiare in altri universi con la mente. È stato un amore che ho avuto fin da quando ero piccolino. La mia famiglia era povera e io non disponevo di soldi per comprarmi gli amati “giornaletti”. Quando me ne capitava qualcuno tra le mani, lo divoravo letteralmente. Creavo poi storie immaginarie mie, dove potevo navigare nello spazio profondo, esplorare pianeti sconosciuti, incontrare extraterrestri.

Con i primi guadagni – andai a lavorare prestissimo – potei comprarmi anche i famosi romanzi di Urania. Ne ho letti a migliaia. Tutto il mio mondo interiore si è formato su questi.

Ho vissuto a lungo nella mia fantasia, e ancora adesso ci vivo, anche se devo fare i conti con la realtà.

I tuoi progetti futuri?

Godermi la pensione e basta (altro sorriso). Adesso sto terminando un lavoro sul quale ci sto da anni, ma appena avrò concluso deporrò per sempre la matita. Ho una certa età e sento la fatica di disegnare. Ci vuole molto tempo e pazienza per preparare una tavola, e io sono ormai stanco. È un’attività che ti richiede parecchie ore di lavoro, ma adesso, come ti dicevo, preferisco impiegare i miei giorni stando con gli amici, non chiuso in questo studio.

In testa però ho ancora tantissime storie che mi piacerebbe raccontare. Se solo fossi più giovane…

Grazie, Roberto, per il tempo che mi hai dedicato.

Grazie a te per l’intervista. Mi ha fatto davvero piacere.

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