di Nicola Ruffo
“capire è identificarsi con la cosa capita”
(Carlo Rovelli)
L’ultimo, attesissimo lavoro di Carlo Rovelli “ Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte” è uno straordinario viaggio di andata e uscita in uno dei più affascinanti misteri cosmici, i buchi neri. Il fisico veronese, calandosi nel ruolo di un Virgilio dantesco, ci conduce non solo dentro i famigerati black holes, varcando quella soglia di non ritorno – l’orizzonte degli eventi – dove nemmeno la luce è più in grado di fuggire, ma, premendo l’acceleratore, va fino in fondo. E “oltre”.
Al termine del tunnel si esce finalmente a riveder le stelle, sbucando dall’altra parte, i buchi bianchi, nei quali niente può entrare.
Non si tratta però di semplici porte d’uscita ma del destino stesso del buco nero, dove il concetto di “rimbalzo” della materia compressa che è caduta dentro, è la chiave per comprendere le oscure dinamiche di questi mostri cosmici (e forse della natura stessa dell’universo).
Chi si aspetta un consueto saggio di divulgazione scientifica, magari corredato da formule matematiche che ai non addetti ai lavori risultano ostiche e astruse, dovrà ricredersi. Rovelli è un anticonformista e pure stavolta non si è smentito.
Buchi bianchi è un libello, più simile a un pamphlet che a un testo accademico, dove alle argomentazioni più squisitamente tecniche si mescolano riflessioni personali, poesia, considerazioni etiche, letteratura e sogno. Ciò che ci viene restituito alla fine del libro non è una teoria astrofisica incorniciata in diagrammi, grafici e numeri, ma un affresco meraviglioso, quasi impressionista, suggestivo quanto intrigante, senza per questo perdere in autorevolezza scientifica. Il tutto condotto da uno stile narrativo che rende appetibile la lettura anche ai profani. È un saggio raccontato come un romanzo, o un diario intimistico.
Sì, perché lo studioso della teoria della gravità quantistica a loop non si rapporta al suo pubblico nell’incarnazione del “freddo scienziato” cattedratico (stereotipo che – ahinoi – persiste nell’immaginario collettivo), ma mostra la sua parte umana.
Espone le sue teorie con l’umiltà di chi sa che potrebbe aver torto, ma al contempo le difende con la consapevolezza del duro impegno profuso nelle sue ricerche: “e se invece avessero ragione gli altri? che fare? leggere, cercare di capire le ragioni altrui, mettersi in dubbio. ma poi, se alla fine ci sembra ancora che siano loro a sbagliare, bisogna avere il coraggio di ascoltare la voce del dolce maestro: lascia dir le genti: sta come torre ferma, che non crolla già mai la cima per soffiar di venti. questo in fondo è fare scienza. l’obiettivo non è convincere chi ci sta intorno: l’obiettivo è arrivare a capire. la chiarezza si farà strada, seguendo il suo corso. con i suoi tempi. serve un’umiltà infinita per non fidarsi di se stessi. ma anche infinita arroganza, per avere la forza di andare per lo solingo piano. lo hanno fatto tutti coloro che hanno aperto strade” (le iniziali minuscole dopo il punto sono proprio così, nel testo).
Rovelli conserva la sua punta d’irriverente anarchia anche nella parte grafica dello scritto: la punteggiatura si svincola audacemente da regole canoniche; le iniziali maiuscole sono pressoché bandite dopo il punto, e il discorso procede come in una conversazione reale tra due persone in presenza. Non è chiara la ragione d’una simile scelta, senz’altro provocatoria ma pure disorientante.
Aldilà del complesso quadro concettuale di Rovelli sui buchi bianchi, che lascio alle lettrici e ai lettori il piacere di scoprire, desidero evidenziare un punto che mi pare interessante – di più: fondante – nell’analisi dello scienziato: spazio e tempo non sono un qualcosa di oggettivo nella realtà ma dipendono dalla prospettiva nella quale ci poniamo come osservatori.
Una riflessione finale di Rovelli sui buchi bianchi è meritevole: “ci sono davvero? chi lo sa? […] la storia che ho raccontato e riraccontato nelle scritture e riscritture di queste righe non è conclusa, è una storia che si sta dipanando. guardiamo verso il mistero. cerchiamo di intravedere il buio e interpretare segni”.
In attesa che studi futuri confermino la teoria sui white holes, lasciamoci nel frattempo prendere per mano da questo eterno sbarazzino, membro dell’Institut universitarie de France e dell’Académie internationale de philosophie de sciences, in questa coinvolgente esplorazione cosmica.
Buchi bianchi. Dentro l’orizzonte
Carlo Rovelli
Adelphi, 2023