IL RACCONTO DEL PARCO DI E CON CARLO DE POI AL PARCO FENDERL. RECENSIONE

Il racconto del Parco”, scritto e interpretato da Carlo De Poi, apre la mini rassegna di monologhi teatrali “ Solo d’attore” promossa dal Centro Culturale Parco Fenderl per l’autunno 2012.

E’ andato in scena venerdì 12 ottobre 2012 e sarà seguito da “Stivai” interpretato da Roberto Conte il prossimo 26 ottobre 2012, “Anita -dedicato a tutte le donne che per amore hanno donato ad un uomo parte della propria vita”, di e con Paola Perin venerdì 9 novembre 2012 e infine “L’ho uscito io” di e con katiuscia Bonato in scena venerdì 23 novembre 2012.

Il” racconto del Parco” nasce dall’urgenza interiore, mi dice Carlo De Poi, di rendere pubblica la memoria di una storia che non è solo personale ma collettiva.

Nello spettacolo Carlo de Poi ripercorre le tappe salienti della sua vita, inscindibilmente intrecciate alla storia del Parco Fenderl, visto prima attraverso gli occhi di un bambino, spazio di gioco e di relazione, poi attraverso quelli di adulto, cittadino consapevole e capace di apprezzarne il valore naturale e sociale.

Nello spettacolo si intersecano più linguaggi. L’attore interpreta un uomo ormai vecchio, che pur perdendo a tratti apparentemente il filo logico del pensiero, non perde mai di fatto la lucidità nella capacità di individuare nessi, significati e cambiamenti temporali, molti dei quali rintracciabili in abitudini cambiate: “...oggi la gente non canta più…non si sofferma più ad ascoltare il rumore di un ruscello…non passeggia più nel silenzio della natura di primo mattino….”

Le immagini del passato vengono rievocate insieme a “vecchi modi di dire”, termini obsoleti o dialettali tipici di una cultura cancellata, rimossa di fronte ad urgenze quotidiane di tempi scanditi.

E’ l’occasione per un confronto in un intimo dialogo interiore, tentativo di portare a galla quella memoria che oggi sembra poco importante, ma che è la radice della nostra cultura.

Lo spettacolo rappresenta l’eredità di valori ed esperienza di un protagonista, che, a tratti, in apparenza anacronisticamente, racconta realtà lontane, nel tempo e nello spazio geografico, in cui altri uomini hanno creduto nel cambiamento e hanno costruito società diverse. Di fatto indica una direzione alternativa cui guardare incredibilmente attuale, quando richiama il movimento degli indignati rifacendosi ad un’idea di “ collettivo” che sembrava, dopo i movimenti degli anni ’70, ripiegarsi nell’individualismo più opportunista, ma che oggi sembra riprendere vigore.

La storia del Parco, così come lo spettacolo, non hanno ancora una fine.

Rispetto agli ultimi avvenimenti troppo recenti per poterne parlare con il giusto distacco il protagonista sospende il giudizio e contemporaneamente apre al dubbio e alla speranza.

Il pregio dei contenuti dello spettacolo è quello di invitare alla “politica”, intesa come amore per la cosa pubblica, messaggio di profonda attualità, un atto di testimonianza che sottolinea l’importanza del rapporto teatro/territorio e che si interroga sul “fare teatro”.

I contenuti emergono in primo piano, a contrastare una tendenza che in teatro privilegia di norma il virtuosismo attoriale, che diventa fine stesso (e non mezzo) dello spettacolo.

Questa visione di teatro / testimonianza, che tanto nella forma che nei contenuti induce alla riflessione e si rivolge al pubblico in modo interlocutorio, ci convince e ci sembra coerente con l’idea di una società in trasformazione, la cui evoluzione è più affidata alla storia della gente che a singoli personaggi, pur carismatici.

IL PARCO FENDERL E IL COLLETTIVO DI RICERCA TEATRALE

IL Parco Fenderl, area boschiva di 11 ettari nel pieno centro di Vittorio Veneto, ha una lunga storia, attraversata, come spesso succede, dagli umori politici che si sono succeduti nel tempo.

Il nome del parco si deve a colui che anticamente vi abitava, l’ing. Ettore Fenderl, ultimo proprietario di quest’area, particolare personaggio progettista, ricercatore e inventore, passato alla storia per avere inventato i coriandoli.

Nel 1993, soprattutto a seguito della chiusura di tutti i cinema e i teatri della città, l’area del Parco Fenderl diventa centro di progetto di recupero ad opera delle Associazioni aderenti alla Consulta culturale vittoriese.

Capaci di mobilitare l’intera città, con una colorata manifestazione di teatro di strada che porterà alla raccolta di 3000 firme per la costituzione di un centro culturale pubblico , il progetto viene recepito dall’amministrazione pubblica che negli anni successivi acquisterà l’area dalla Fondazione Fenderl ed inizierà i lavori.

Da venti anni le associazioni territoriali e in prima linea il Collettivo di ricerca teatrale di Vittorio Veneto cercano di far sentire la propria voce al succedersi delle giunte dai diversi colori politici, riuscendo a conservare questo bene al servizio della collettività che oggi consta di un ampio ed articolato edificio circondato dal verde, nel quale trovano posto il collettivo di ricerca teatrale con le proprie proposte culturali rivolte al territorio, le associazioni di volontariato sociale e spazi per attività sociali, ricreative e sportive.

Ma, mi dice Carlo De Poi, presidente e direttore artistico del C.R.T. Di Vittorio Veneto, la battaglia continua e la soglia d’attenzione deve rimanere alta.

Manca ancora la foresteria inizialmente progettata per l’ospitalità dei gruppi e degli artisti ospiti delle Rassegne, che li costringe a ridimensionare progetti e contenuti culturali e la somma stanziata dall’amministrazione comunale per la gestione dello spazio è decisamente esigua a fronte della sua necessità di mantenimento strutturale. E’ inoltre preoccupato per il futuro del Parco, prezioso serbatoio di crescita non solo culturale ma sociale ed umano delle nuove generazioni e mi confessa con rammarico che è triste pensare che questa lotta di “speranza” possa terminare.

Nonostante a tutt’oggi il Parco Fenderl sia una straordinaria realtà di integrazione socio-culturale in cui vengono realizzati oltre 700 incontri e registrate 40.000 presenze ogni anno, mi rendo conto immediatamente delle incredibili potenzialità che offrirebbe in termini di festival, rassegne e scambi culturali oltre frontiera.

Non mancherebbe nemmeno un indotto economico, in termini di servizi, già dimostrato in altri contesti ( gli innumerevoli festival di strada e di teatro dislocati anche nella nostra penisola), se solo ci fosse la capacità politica di investire maggiormente nella cultura con lungimiranza.

Emanuela Dal Pozzo

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