In scena al Teatro Olimpico di Vicenza il 25 e il 26 ottobre 2014 per il 67° Ciclo di Spettacoli Classici, grazie alla scelta di Emma Dante, non si può dire che “Jesus”, ultima produzione di Babilonia Teatri, di e con Valeria Raimondi ed Enrico Castellani , abbia folgorato il pubblico per una qualche ragione, al contrario.
Atteso come ormai tutte le produzioni di questa Compagnia veronese che ha fatto molto parlare di sé e nei cui precedenti spettacoli la critica ha riconosciuto innovazione linguistica grazie alla rottura di canoni di tradizione, tanto da collezionare diversi premi, non si può dire sia stato accolto con entusiasmo dal pubblico perlopiù deluso, a testimonianza dei commenti ascoltati all’uscita.
Di fatto secondo il mio personale punto di vista dire “poco convincente” di questo spettacolo è dire tanto e danno da pensare le numerose e autorevoli presenze e coproduzioni citate nella presentazione: coproduzione con La Nef/ Fabrique des Cultures Acrtuelles Sait-Diè-des- Vosges ( France) e MESS International Theater Festival Sarajevo ( Bosnia and Herzegovina), in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, con il sostegno di Fuori Luogo La Spezia, laboratorio teatrale in collaborazione con l’Associazione ZeroFavole realizzato con il contributo della Fondazione Alta Mane Italia e infine spettacolo scelto da Emma Dante per l’Olimpico.
Insomma si ripropone lo stesso problema già ravvisato in altri contesti: come avviene un finanziamento? C’è poi un reale controllo sulla realizzazione del progetto o basta il “nome” o un’”idea” magari bene presentata per ottenere soldi, alleanze e consensi?
Se in altre produzioni di Babilonia la genialità dell’idea di fondo unita ad uno stile linguistico provocatoriamente aggressivo e ad azzardi al limite del lecito (Lolita- bloccato dalla censura e Pinocchio) erano riusciti a catturare l’attenzione di critica e pubblico, portando in auge quasi dal nulla la Compagnia, vincitrice di numerosi premi (dal mio personale punto di vista sopravvalutata) quando questi elementi cadono, come in questo caso, rimane ben poco.
Jesus alla fine non cattura, né per originalità d’invenzione né per modalità interpretativa.
La trama drammaturgica è esile e sembra piuttosto l’assemblaggio di clichè scontati, che se in altre produzioni potevano essere interpretate come “messa a nudo” di una banalità di vita che ci appartiene, qui rivela solo la superficialità di una tematica mai realmente affrontata. Un paio di scene interessanti ci sono, peccato spunti non approfonditi,che quindi rimangono sul piano di piacevolezza estetica.
La modalità interpretativa non offre possibilità di gioco, centrata come sempre più sulla presenza scenica degli attori che sulla modulazione della voce, per scelta impersonale e senza alcuna partecipazione emotiva: un clichè anche questo cui Babilonia ci ha abituati e che finisce per appiattire gli spettacoli quando incapaci di proporre un linguaggio efficace alternativo.
Emanuela Dal Pozzo